Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante intervento dello storico ambientalista Giorgio Nebbia

Sul dissenso politico ed ecologico in America

[24 Giugno 2013]

Ogni volta che una idea, giusta e generosa, si fa potere, genera violenza che, a sua volta, genera dissenso fra coloro che si erano fidati dei valori di tale idea e che si sono sentiti traditi. Ad esempio, il comunismo è nato come aspirazione ad una società di uguali, con uguali diritti, con una giusta condivisione dei beni disponibili. Milioni di persone nel mondo hanno rincorso nell’ultimo secolo e mezzo, questo ideale, con sacrifici anche personali, contrastando i governi dominati dall’egoismo, dal successo privato, dalla sopraffazione. Tale generosa aspirazione ha trovato il terreno fertile nella Russia zarista con una rivoluzione che ha portato i comunisti al governo. A questo punto, quasi come punizione per l’arditezza del sogno, i governi hanno creato burocrazie, privilegi, discriminazioni e sono diventati fonte di violenza, non solo verso gli oppositori, ma, a poco a poco, verso gli stessi comunisti in Russia e nel mondo.

Due recenti volumi sul ”comunismo critico” sono stati curati dallo storico Pier Paolo Poggio della Fondazione Micheletti di Brescia e pubblicati dall’editore milanese Jacabook. Essi contengono numerosi saggi che esaminano le storie politiche ed umane dei comunisti che sono stati critici verso il comunismo sovietico e quello dei paesi del “socialismo reale” in cui il potere è stato assunto da governi ispirati al modello sovietico, con alcuni degli stessi vizi e violenza. I comunisti critici sono vissuti sia nei paesi comunisti, sia in Occidente e ciascuno ha una storia personale dolorosa e drammatica. I due volumi fanno parte di un grande affresco, che comprenderà altri tre volumi sui critici di altri “regimi”, fonti di violenza e di ingiustizia, come quello capitalistico in America, il libro è appena uscito, e quelli dei paesi europei, africani e asiatici nel corso del Novecento.

Il grande impero americano è cresciuto grazie all’immigrazione dall’Europa e dall’Asia, di persone che fuggivano dalla violenza della miseria, delle discriminazioni etniche e religiose, di governi tiranni, alla ricerca di uguaglianza e libertà. Si sono trovati davanti a terre ricche di pascoli, animali allo stato naturale, foreste, acque, abitati da nativi (quelli che sono stati chiamati “pellerossi”) abituati ad una vita nomade, in equilibrio con le risorse disponibili, con abitudini e costumi del tutto diversi da quelli degli immigrati. I quali, hanno cominciato il viaggio nella nuova grande terra, sgombrando con violenza i nativi per realizzare le attività agricole, minerarie e commerciali, esercitando nei confronti dei nativi le stesse violenze da cui erano fuggiti.    Nella conquista delle nuove terre e delle loro risorse naturali ed economiche si sono subito formate stratificazioni di classe, in genere di immigrati poveri intraprendenti, premiati dal successo economico, ben presto divenuti violenti verso sempre nuove ondate di immigrati bianchi europei, neri africani, “gialli” asiatici, più poveri e ignoranti, non degni di accedere alle grandi ricchezze di terre fertili, pascoli, foreste, oro e argento, adatti solo a servire i premiati dal successo. Si sono così riprodotte le condizioni di un capitalismo selvaggio, sotto molti aspetti ancora più violento di quello dei paesi da cui erano fuggit. Gli immigrati poveri hanno portato in America le stesse aspirazioni di giustizia e di ribellione, anche violenta: con loro sono sbarcate parole come anarchia, socialismo, comunismo.

Ma con gli immigrati più colti sono arrivate anche aspirazioni di giustizia e di diritti che erano state respirate in Europa e che si sono concretizzate, dalla metà dell’Ottocento in avanti, nei movimenti per l’abolizione della schiavitù, e, più tardi per i diritti dei nativi, per il rispetto delle risorse naturali assaltate durante la conquista dell’Ovest: pascoli per l’allevamento del bestiame, foreste per trarne i materiali da costruzione    La voce delle aspirazioni di giustizia in America sono raccolte in numerosi saggi nel volume: “Il capitalismo americano e i suoi critici”, curato anch’esso da Pier Paolo Poggio (Jacabook),: 740 pagine ricche di riferimenti bibliografici e biografici. Biografici, soprattutto, perché i critici sono stati persone di straordinario interesse umano, che spesso hanno pagato di persona il coraggio del loro dissenso. Si pensi al movimento di liberazione degli schiavi che ha contrapposto gli stati industriali del Nord a quelli agricoli e schiavisti del Sud e che è stato conosciuto in Europa attraverso opere letterarie e, più tardi, nel Novecento, attraverso molti film, una lunga battaglia che non è finita perché la discriminazione esiste ancora in molti stati e, quel che è peggio, “nel cuore” di molti americani bianchi, anche poveri (si pensi al film “Mississippi burning”). Attraverso il libro si trovano le figure di leader del popolo nero come W.E.B. Du Bois e Malcolm X, ma anche di coraggiose donne nere come Esther Cooper Jackson e Rosa Parks.    Molte pagine sono dedicate alle donne e uomini che si sono battuti per i diritti dei lavoratori a migliori salari e migliori condizioni di lavoro (si pensi al libro “La giungla” di Upton Sinclair sui lavoratori dei macelli di Chicago). In America sono nati i movimenti di contestazione ecologica, cominciati nell’Ottocento per la difesa delle foreste californiane e contro l’erosione del suolo provocato dallo sfruttamento delle terre agricole.

Anzi la lettura dei vari saggi mostra che il movimento “ecologico” è arrivato in Europa negli anni sessanta del Novecento dalla diffusione di scrittori americani come Lewis Mumford e, più tardi, Rachel Carson e Barry Commoner, ma, ancora prima di Rachel Carson, dagli scritti del troppo poco noto anarchico Murray Bookchin. La contestazione ecologica si intreccia con la contestazione, tutta americana, “della bomba”. La corsa alla costruzione delle bombe atomiche, destinate ad assicurare il predominio americano in una gara tecnico-scientifica con l’Unione Sovietica, ha indotto gli studiosi a denunciare i danni ecologici derivanti dalla diffusione nel pianeta degli isotopi radioattivi liberati durante gli esperimenti nucleari nell’atmosfera, il pericolo di annichilazione planetaria in seguito ad un possibile conflitto militare con l’uso di bombe atomiche (si pensi al film “L’ultima spiaggia”).

Contro i critici “della bomba” il capitalismo americano ha scatenato la drammatica “caccia alle streghe” contro i possibili “comunisti” esistenti fra scrittori, attori, registi e perfino contro il grande fisico Oppenheimer, l’uomo che aveva dato la bomba atomica all’America durante la II guerra mondiale. In America nasce la contestazione dell’altro veleno diffuso dal capitalismo, il consumismo che ha spinto a sfruttare le risorse naturali, ad avvelenare con i rifiuti l’aria e le acque, a fabbricare merci sofisticate e pericolose: la base dei movimenti in difesa dei consumatori.  Fra i critici del capitalismo troviamo anche rispettati studiosi come Thorstein Veblen e, più tardi, gli economisti radicali Sweezy, Galbraith e Boulding e poi l’immigrato rumeno Georgescu-Roegen. Per farla breve, il libro sui critici del capitalismo americano permette di trovare le radici di molti movimenti di contestazione europei attuali, ma permette anche di ricordare che i diritti, ad un mondo meno violento, più giusto e ad un ambiente più pulito, si conquistano con lotte e fatiche, esposti ad incomprensioni e ostilità, ma che, alla fine, si vince.

Giorgio Nebbia