Le guerre per i minerali: la necessità di agire e il realismo pro-business dell’Ue
[6 Settembre 2013]
di Karel De Gucht, Commissario europeo per il Commercio
Se c’è una cosa sulla quale noi tutti in questa sala possiamo concordare, è che il commercio internazionale è un bene per l’economia. Le esportazioni stimolano la domanda, aumentando direttamente la crescita. Le importazioni ampliano l’offerta, rendendo le economie più produttive, innovative e competitive e dando ai consumatori più prodotti e servizi tra cui scegliere. La crescita generata dal commercio mantiene milioni di persone al lavoro: circa 30 milioni nella sola Unione europea. Il che è cosa buona e giusta. E dimostra perché il commercio sia un elemento fondamentale nelle strategie di sviluppo dei Paesi di tutto il mondo, e perché sia una parte così importante della stessa strategia di ripresa dell’Europa.
Ma se siete d’accordo con me su questo punto, spero che siate anche d’accordo con me sul prossimo: non c’è nessun pasto gratis.
Tutto ciò che facciamo ha delle conseguenze: alcune volute, alcune non intenzionali. E da quando siamo in Europa e abbiamo aperto i confini del più grande mercato del mondo, gli effetti ci raggiungono in lungo e in largo, creando opportunità per le persone in tutto il mondo. La maggior parte delle persone che usufruiscono di queste opportunità contribuiscono alle comunità intorno a loro, con la creazione di posti di lavoro meglio pagati o pagando le tasse che finanziano lo sviluppo.
Ma non tutti coloro che beneficiano del commercio sono dei buoni vicini come cittadini. Alcune companies sono felici di inquinare l’ambiente intorno alle loro fabbriche. Altre sono indifferenti riguardo alla sicurezza dei loro lavoratori. Il questione è che quando ci impegniamo nel commercio entriamo inevitabilmente in contatto con pratiche senza scrupoli. Così la sfida costante della nostra politica commerciale è come sfruttare i benefici economici del commercio, mentre realizziamo sistemi per scoraggiare le conseguenze negative.
La questione dei minerali e dei conflitti è un esempio lampante di questa sfida. Da un lato abbiamo bisogno di un approccio globale – basato sul mercato delle materie prime – per i principali minerali di cui stiamo parlando in questo contesto, come quelli che vengono utilizzati per le produzioni di stagno, tantalio, tungsteno e oro. In questo settore, politiche aperte di esportazione e importazione sono fondamentali per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Unione europea e per tutte le risorse importate dalle economie. Abbiamo anche bisogno di consentire ai Paesi in via di sviluppo di commerciare le risorse naturali. Se gestite correttamente offrono ai Paesi in via di sviluppo una fonte vitale e rara di reddito, che può costituire la base per strategie di sviluppo più ampie. Quindi abbiamo bisogno di mantenere il libero commercio anche per questo motivo.
D’altra parte, non possiamo avere una politica sul commercio di minerali che ignori il grande disagio causato quando le entrate minerarie vengono prelevate per finanziare guerre inutili e tutti gli abusi dei diritti umani che si portano dietro. L’esempio più evidente di questo, quello che si evidenzia nell’interessante rapporto che stiamo lanciando oggi, è il conflitto nella regione dei Grandi Laghi, in Africa.
E’ una situazione mortale, con milioni di morti e milioni di feriti e traumatizzati dallo scoppio della prima guerra del Congo a metà degli anni ‘90. Ed è una situazione molto complessa, con molte fazioni diverse che rappresentano molti interessi diversi. Ma ciò che è innegabile del conflitto è che il commercio di minerali ha svolto un ruolo importante, sia per la sua intensità che per la sua lunghezza.
In parole povere, se i gruppi armati sono in grado di occupare una miniera, riescono ad avere facile accesso alla domanda internazionale per la sua produzione e quindi facile accesso ai finanziamenti per fare ancora più violenza. E mentre Congo è l’esempio più drammatico del fenomeno non è l’unico.
I guerriglieri delle Farc che operano in Colombia e Venezuela sono solo un altro esempio, utilizzando la produzione di oro e di tantalio, coltan, continuano nella loro campagna di produzione di cocaina che è però diventata più ristretta.
In situazioni come queste, uno sforzo serio per eliminare minerali dei conflitto dalla catena del rifornimento consentirebbe di avere avrebbe un triplo beneficio: Potremmo togliere i soldi dalle mani dei gruppi ribelli, nel senso che avrebbero meno capacità di distruggere la stabilità. Potremmo garantire che i ricavi da risorse naturali andassero invece al governo, al rafforzamento dello Stato di diritto ed a migliorare l’erogazione di servizi vitali come la sanità e l’istruzione. E tutto ciò, a sua volta favorirebbe la crescita economica, che da alle regioni colpite da conflitti la speranza di un futuro migliore.
Questi fatti sono indiscutibili. Sono stati riconosciuti più volte dalla comunità internazionale, che ha chiesto di intervenire attraverso le Nazioni Unite, l’Ocse e il G8. Anche l’Europa ha esperienza nel trattare con questo tipo di problemi. Abbiamo agito per primi sui diamanti ed i prodotti forestali. Non c’è una ragione di principio per cui non siamo in grado di farlo di nuovo per questo. Questo è il motivo per cui ritengo che l’Unione europea debba agire. Ma, naturalmente, il passo successivo è molto più difficile. Che cosa può realmente fare?
Come sapete, la Commissione europea sta valutando la forma che dovrebbe prendere la nostra azione. Mi auguro che la Commissione prenda la sua decisione su tale forma entro la fine dell’anno. Ma, qualunque cosa facciamo, dobbiamo seguire 6 principi importanti:
Primo, dobbiamo riconoscere – come lo studio di oggi fa chiaramente – che il commercio è solo uno dei tanti fattori che hanno creato questi conflitti. Sarebbe una grande notizia se la politica commerciale fosse in grado di fornire una soluzione semplice per la guerra, ma non può. Così ogni nostra azione ha la necessità di sostenere una più ampia strategia per la pace e lo sviluppo. È per questo che presenterò la mia proposta con il supporto di Cathy Ashton… E’ perché, intendo, con il suo aiuto, inquadrare questa iniziativa nel più ampio contesto di un approccio globale, per spezzare il legame tra conflitto e materie prime.
Secondo, la nostra azione deve sostenere gli sforzi in atto per affrontare la questione. Sono ben consapevole che molte compagnie europee stanno già innalzando da sole gli standard di responsabilità come parte del loro programma di responsabilità sociale d’impresa. Inoltre, molte devono rispettare le prescrizioni sui minerali dei conflitti nelle loro catene di rifornimento per essere quotate all’ US stock exchanges e sono quindi soggette alla Dodd Frank Section 1502 perché riforniscono grandi imprese statunitensi che ne fanno parte. Sarete d’accordo con me che questi sforzi importanti devono essere riconosciuti, incoraggiati e facilitati anche con uno strumento adeguato. Questo è ciò che intendo fare. Posso quindi rassicurare che vogliamo fare in modo che questa iniziativa europea si basi sugli obblighi e gli approcci esistenti, piuttosto che entrare in conflitto con loro.
Ecco perché guardo anche davvero da vicino alla vicino alla Due Diligence Guidance dell’Ocse, che fornisce una pre-esistente guida “how-to” Guida per le compagnie che vogliono assicurarsi che stanno facendo la cosa giusta nell’acquisto dei loro minerali dalle zone di conflitto.
Terzo, dobbiamo seguire la massima dei medici: non fare danni. Dobbiamo evitare di creare incentivi per le compagnie per mettere fine del tutto all’acquisto di minerali provenienti dalle regioni in conflitto. Ciò avrebbe conseguenze disastrose per lo sviluppo. Il nostro approccio deve prevedere incentivi per le imprese, che lavorano con i produttori primari nelle regioni in conflitto, perché forniscano garanzie che sono fuori dai giochi.
Quaro, abbiamo bisogno di un ampio campo geografico di applicazione. Se è vero che la regione dei Grandi Laghi rimane l’esempio più terrificante del problema non è certo l’unico, come si è visto con gli altri esempi nell’America Latina, e non possiamo neanche altre regioni in futuro. In realtà, l’Istituto di Heidelberg stima che circa il 20% dei conflitti mondiali sono legati alle risorse naturali. Quindi abbiamo bisogno di un’ampia copertura, se vogliamo essere efficaci. Un’ampia copertura contribuirà anche ad evitare le possibili conseguenze negative alle quali ho già accennato. Non dobbiamo stigmatizzare certe regioni e rischiare la loro estromissione dal mercato globale.
Quinto, abbiamo bisogno di un approccio mirato. Se vogliamo essere efficaci dobbiamo concentrarci su dove possiamo avere un maggior impatto. E questo significa fornire alle fonderie, nel punto più stretto della catena di rifornimento, di incentivi per a realizzazione di politiche di responsabilità dei loro fornitori a monte.
Infine, questo tipo di approccio ci permette un abbondante spazio per agire in modo efficace, senza l’altra re conseguenza non voluta, di danneggiare l’economia europea in un momento di instabilità. Se siamo in grado di farlo nel modo giusto, non comporta alcun rischio per la sicurezza dell’approvvigionamento per l’Unione europea, che è fondamentale, data l’importanza di questi minerali per tutta una serie di settori, dall’elettronica ai macchinari, alle auto.
Vorrei concludere parlando di come questo è in relazione con voi come companies. Penso sarete d’accordo con me su un ultimo punto: nulla di ciò che la Commissione propone avrà successo se non dispone di un ampio sostegno pubblico, che include business come i vostri.
Ecco perché sono così contento per l’ampia partecipazione alla consultazione che abbiamo organizzato all’inizio dell’anno. Abbiamo ricevuto 280 risposte, tre quarti delle quali erano del business. Quello che ho trovato particolarmente incoraggiante è che oltre l’80% degli intervistati ha indicato che il business è interessato ad un approvvigionamento responsabile e che oltre il 30% sta già facendo volontariamente una qualche forma di “due diligence”, o volontariamente o perché sono necessarie.
Quindi penso che su questo punto le companies comprendano le questioni morali in gioco. È tanto quanto ogni altro sono colpite dal dilemma ho descritto all’inizio. Il commercio è necessario per sopravvivere ma a volte ti porta a contatto con pratiche che non giustificheresti per un solo attimo a casa tua.
Questo è il motivo per cui dobbiamo lavorare insieme nei prossimi mesi per mettere in atto un efficace ma ragionevole sistema Ue per incoraggiare l’approvvigionamento responsabile di minerali prodotti nelle zone di conflitto.
Intervento alla Conferenza “Responsible Sourcing of Minerals from Conflict-Affected Regions- Scientific Results and Recommendations for a European Approach”, organizzato dalla Bundesverband der Deutschen Industrie, Brussellex, 3 settembre 2013