L'essere umano come batteria per la rete del futuro?
L’Internet delle cose, tra energia dal movimento umano e Matrix
[27 Agosto 2013]
La Mit Technology Review spiega che «l’Internet delle cose è la rete immaginaria di dati connessi che emergerà quando oggetti della quotidianità incorporeranno minuscoli dispositivi identificativi». Qualcosa che, anche se non è una realtà virtuale, ci si avvicina. E fa pensare ad una sorta di Matrix, sostenuta e alimentata dagli stessi esseri umani.
«L’idea – sottolineano al Mit – è che ciascuna busta di un ufficio postale trasmetta la propria posizione, origine e destinazione, in maniera tale da poter essere rintracciata e indirizzata più efficientemente, che ciascun prodotto di un supermercato trasmetta contenuto, prezzo, scadenza e così via, che il proprio smartphone interroghi i contenuti del frigorifero per avvertirci quando il latte sta per finire. E così via».
Se è vero che ognuna di queste funzioni espanderà in qualche misura le nostre attività e la nostra vita è anche vero che ogni individuo farà parte di una rete e di un flusso di informazioni delle quali sarà al tempo stesso fruitore e vettore e che alla fine l’Internet delle cose trasformerà radicalmente il modo in cui gli esseri umani interagiscono con il mondo circostante, trasformando ancora di più la nostra perduta naturalità in un rapporto artificiale e sempre più artificioso con la natura, ridotta ormai a bit di informazioni, a uomini decodificati che decodificano tutto. O almeno ci provano.
La Mit Technology Review vede invece l’altro lato della medaglia, quello di un mondo collegato che condivide ogni informazione autoproducendo energia, un mondo liberato dalla gerarchia informativa ed energetica, ma anche per chi non crede all’avverarsi della terribile profezia di Matrix di un’umanità ridotta ad informazioni manipolabili e sfruttabili, esiste un problema: «I piccoli dispositivi di identificazione necessitano di una fonte di energia. L’uso di batterie sarebbe costoso e impraticabile, per cui gli scienziati sperano di riuscire a raccogliere l’energia necessaria dall’ambiente circostante, in particolare dalle luci e dai movimenti umani».
La domanda è quanta energia possiamo riuscire a recuperare: la risposta è che, ad esempio, già sappiamo come dalle luci da interno si possano ricavare circa 50-100 microwatt per cm2, ma per quanto riguarda l’energia ricavabile dal movimento del corpo umano i conti da fare sono ancora molto complicati. A farli ci hanno pensato Maria Gorlatova e il suo team di scienziati Columbia University di New York, che hanno misurato l’energia inerziale prodotta in 9 giorni dall’attività di 40 persone alle quali hanno applicato dei dispositivi per raccogliere energia, costituiti praticamente da una massa e una molla, registrando i loro movimenti.
«Stando a quanto ne sappiamo – affermano i ricercatori – l’insieme di dati che abbiamo raccolto ed analizzato costituisce il primo set di dati sulle accelerazioni rilevate da un gran numero di partecipanti mai reso pubblicamente disponibile». Il team ha anche misurato il movimento di oggetti come porte, cassetti e matite, per capire quanta energia potrebbe esserne ricavata, ed evidenzia che «i risultati sono spesso sorprendenti e, talvolta, contro-intuitivi».
La Mit Technology Review riassume dunque una lista delle principali scoperte dei ricercatori della Columbia University:
– Il movimento periodico è ricco di energia. Scrivere con una matita genera più energia (10-15 microwatt) di quanta se ne può associare a un volo di 3 ore includendo decollo, atterraggio e turbolenze, che non genera mai oltre 5 microwatt.
– Gli esseri umani sono passivi la maggior parte del tempo. Approssimativamente il 95% dell’energia che può essere raccolta nel complesso viene generata in un periodo inferiore al 7% di una giornata.
– Camminare produce la stessa quantità di energia dell’illuminazione interna (intorno a 150 microwatt).
– Correre genera intorno a 800 microwatt.
– Gli scuotimenti volontari generano 3,500 microwatt, un valore 30 volte più grande rispetto a quello di una camminata.
– Pur richiedendo uno sforzo minore, discendere da una scalinata genera più energia che salirla per via delle maggiori accelerazioni coinvolte.
– Le persone alte generano intorno al 20% di energia in più rispetto alle persone basse.
– La differenza nella produttività energetica di ciascun individuo dipende fortemente dalla quantità di spostamenti che compie camminando. Il posizionamento dei sensori sul corpo non ha particolari effetti su questo valore.
– La maggior parte delle persone genera abbastanza energia per alimentare di continuo un trasmettitore a una frequenza di circa 1 Kb/s (più di 5 microwatt).
Un insieme di risultati singolari, sorprendente e interessanti, che gli ingegneri della Columbia University stanno già elaborando all’interno di algoritmi per gestire la raccolta, lo stoccaggio e l’utilizzo di questa energia umana e delle cose. Secondo la Gorlatova ed il suo team, «Il nostro lavoro contribuirà all’ottimizzazione dell’efficienza di questi sistemi».
La Mit Technology Review si chiede quando cominceremo a vedere sul mercato questi dispositivi per la raccolta di energia e risponde che «I primi candidati potrebbero essere i sensori per il rilevamento dei movimenti già presenti sul mercato. Dispositivi quali il Fitbit e la Nike Fuel Band registrano ormai da anni, e in continuazione, l’attività quotidiana di diverse migliaia di individui. Sarà interessante vedere come queste aziende utilizzeranno questi dati per migliorare i propri prodotti, che ora necessitano di ricariche regolari o di batterie usa e getta. Oltretutto, sono state investite risorse sostanziose nello sviluppo di dispositivi capaci di operare a livelli di energia sufficientemente bassi da beneficiare della raccolta di energia».
La conclusione è esaltante o preoccupante se la si guarda dai due lati del dilemma (sotto il profilo Matrix o quello dell’autoproduzione di informazioni ed energia): «Quello che pare ovvio da questo e da altri lavori analoghi è che l’Internet delle cose sta arrivando, e che se il problema dell’energia pareva un tempo insormontabile, ora non è più tanto motivo di preoccupazione».