Tra microchip che imitano il cervello e menti potenziate dalle macchine, il conto chi lo paga?
[11 Agosto 2014]
La notizia di un microchip di nuova generazione, TrueNorth, è piombato in questi giorni come un fulmine a ciel sereno nel mondo dell’high-tech; la creatura a marchio Ibm, presentata su Science, viene descritta come in grado di imitare il funzionamento del cervello umano. Si tratta più di una possibilità latente per il futuro, però, che non un successo già raggiunto: TrueNorth – che ha tra le sue peculiarità un consumo energetico estremamente ridotto – porta in dote «1 milione di “neuroni elettronici”, oltre 256 milioni di connessioni sinattiche artificiali, contiene 4.096 processori».
In confronto, come ha osservato il neuroscienziato Benedetto De Martino su queste pagine, il nostro cervello «è composto da circa 83 miliardi di neuroni, con multiple connessioni l’uno con l’altro, e il numero di queste connessioni è stato stimato essere pari ad almeno 100 trilioni. Per avere un idea di quanto sia mastodontico questo numero bisogna tener presente che è 1000 volte più grande del numero di stelle nella nostra galassia». Le dimensioni contano, e i numeri di TrueNorth (almeno per il momento) non possono reggere il confronto.
È dunque ancora molto presto per affermare che i robot si stanno avvicinando all’intelligenza umana. Data la realtà dei fatti, c’è dunque chi tenta di percorrere la strada nel senso opposto. Non trasformare un microchip in un cervello, ma potenziare la nostra materia grigia grazie all’utilizzo di sofisticate tecnologie.
È il caso del progetto CEEDs, finanziato dall’Unione europea e che – come segnala oggi la Commissione Ue – potrà anche aiutare il cervello a gestire i big data, ossia quel crescente e dettagliato fiume di informazioni che ogni giorno di più ci sommerge col suo fluire. A greenreport ne parlammo già l’anno scorso, intervistando Alessandro Tognetti e Daniele Mazzei, del centro di ricerca E. Piaggio dell’università di Pisa, che sono tra i protagonisti italiani di questa avveniristica realtà.
«Ogni minuto – ricorda la Commissione – il mondo genera dati per 1,7 milioni di miliardi di byte, pari a 360,000 DVD. Ma in che modo il nostro cervello può gestire insiemi di dati (dataset) sempre più grandi e complessi? I ricercatori dell’UE stanno sviluppando un sistema interattivo capace non solo di presentare le informazioni nel modo in cui desideriamo, ma anche di cambiarne regolarmente la modalità di presentazione per evitare il sovraccarico del cervello. Il progetto potrebbe permettere agli studenti di studiare meglio o ai giornalisti di effettuare il controllo incrociato delle fonti più rapidamente. Diversi musei in Germania, nei Paesi Bassi, nel Regno Unito e negli Stati Uniti hanno già mostrato interesse per la nuova tecnologia. I dati sono ovunque: possono essere prodotti dagli esseri umani o generati dalle macchine, come i sensori che raccolgono le informazioni sul clima, immagini satellitari, foto e video digitali, registrazioni di operazioni d’acquisto, segnali GPS, ecc. Queste informazioni sono un’autentica miniera d’oro. Tuttavia, rappresentano anche una sfida: i dataset di oggi sono enormi e difficili da elaborare, tanto da richiedere nuovi strumenti, idee e infrastrutture».
Secondo Jonathan Freeman, psicologo presso la Goldsmiths University of London e coordinatore del progetto CEEDs, «è materialmente impossibile per gli esseri umani analizzare tutti i dati che hanno di fronte, semplicemente per il tempo che occorre. Qualsiasi sistema che possa velocizzare il processo e renderlo più efficiente è perciò di enorme valore». Quello sviluppato da CEEDs «riconosce quando i partecipanti sono affaticati o sovraccaricati di informazioni. E si comporta di conseguenza. Può semplificare i modelli visivi in modo da ridurre il carico cognitivo, mantenendo quindi basso il livello di stress dell’utente, permettendogli di restare più concentrato, oppure può guidarlo verso aree di rappresentazione dei dati meno cariche di informazioni».
Una prospettiva dominata dalle possibilità, più che dalle criticità, sarà probabilmente la strada giusta da percorrere per trarre il meglio dai big data (e difendersi dal peggio), e CEEDs s’inserisce pienamente in quest’ottica. Sollevando implicitamente, però, anche non pochi quesiti. Sarà un algoritmo a decidere quali informazioni rendere più accessibili, quali quelle da selezionare e valorizzare, e dunque “potenziando” il nostro cervello in modo unidirezionale. Se l’avanzata della disoccupazione tecnologica, ci ha insegnato qualcosa, è che anche nel mondo delle macchine nessun pasto è gratis. In cambio di un guadagno c’è qualcos’altro cui rinunciare, ed è bene che i conti si facciano all’inizio della partita.