Obama si butta a sinistra: «E’ la disuguaglianza il maggior problema dell’America»
[5 Dicembre 2013]
Il presidente Usa Barack Obama sta cercando di recuperare terreno dopo il flop del sito dell’Obamacare che lo ha sommerso di critiche e fatto scendere a picco nei sondaggi e lo fa spostandosi a sinistra. Intervenendo ad una iniziativa della Washington State Community Action Partnership (Cap), un centro comunitario no-profit non molto distante dalla Casa Bianca, in uno dei quartieri più poveri della capitale Usa, Obama ha detto che «La differenza di entrate fra i ricchi e i poveri negli Stati Uniti è la sfida che definisce il nostro tempo».
Dopo anni di reaganismo annacquato dal clintonismo, Obama ora denuncia che la disparità economica e sociale ha messo in pericolo la classe media americana: «Il patto di base che sta al cuore della nostra economia si è logorato. La crescente disparità nelle entrate è più accentuata negli Usa che in altre nazioni. Gli americani dovrebbero sentirsi offesi che un bambino nato in povertà faccia tanta fatica per uscirne. Ciò dovrebbe spingerci ad agire, siamo una nazione migliore di così» e ha ribadito il suo invito ad aumentare la paga minima e ad adottare altre misure a favore degli americani a basso reddito.
Obama chiudendo il suo discorso ha detto: «Vorrei concludere affrontando l’elefante che è qui nella stanza, che è l’apparente incapacità di fare qualsiasi cosa a Washington in questi giorni» e l’elefante è la feroce campagna che i repubblicani e le organizzazioni della destra Usa hanno messo in piedi contro qualsiasi cosa che somigli alla giustizia sociale.
Secondo Zack Beauchamp, un reporter/blogger di ThinkProgress.org «La scelta di sdrammatizzare la politica di parte la dice lunga sul discorso di Obama, e più in generale, sulla sua presidenza. Obama è una persona che crede che soluzioni moderate possono davvero risolvere problemi enormi, ma si trova di fronte una opposizione che pensa che mettere mano al welfare state sia l’equivalente morale di ricablare una macchina omicida. E’ un tecnocrate in un’epoca ideologica, una cornice che è essenziale per capire dove vuole arrivare con il suo discorso al Cap».
Intervenendo in un ambiente fortemente politicizzato come il Cap, Obama ha usato toni più “intellettuali” del solito ed ha condito il suo discorso con riferimenti a studi e statistiche, come quando ha detto: «Un nuovo studio mostra disparità in materia di istruzione, salute mentale, obesità, padri assenti, isolamento dalla chiesa, isolamento da gruppi comunitari, questi gap che sono oggi molto più crescenti tra i ricchi e i poveri di qualsiasi altra cosa». Si tratta del tentativo di un nuovo approccio politico abbastanza complesso, con la povertà nel Paese più potente del mondo che ormai non è più principalmente un problema di razza e razzismo ma di un Paese dove le demarcazioni classiste sono visibili come mai prima.
Obama è partito di qui per dimostrare, con assonanze con il nuovo sindaco progressista di New York Bill de Blasio e Papa Francesco, che le disuguaglianze di reddito sono «La sfida che definisce il nostro tempo» e che «Il patto fondamentale al centro della nostra economia si è sfilacciato» e che questo rischia di rompere l’unità del Paese, «L’essenza di ciò che siamo come popolo. La crescente disuguaglianza minaccia la crescita economica, la stabilità della famiglia e il funzionamento stesso della democrazia americana. E’ una minaccia fondamentale per il sogno americano, per il nostro modo di vita e per ciò che rappresentiamo in tutto il mondo».
L’individuazione del problema con questo tipo di retorica, che contrappone un’idea progressista all’egoismo neoconservatore repubblicano, dovrebbe però portare a proposte politiche chiare, cosa che Obama non ha ancora fatto. Come scrive Beauchamp «La retorica infuocata sulla disuguaglianza ha aperto la strada a proposte politiche, come l’aumento del salario minimo che sono abbastanza buone come spot, ma non come racconto. Questo non è stato un discorso che ha lanciato un nuovo programma, ma piuttosto una declamazione di urgenza morale da parte di colui che già governa. E’ stata fatta la scelta della giusta messa a fuoco. Il presidente Obama, come praticamente tutti i progressisti tradizionali, non ha nulla contro la struttura di base del capitalismo americano. Sostiene l’adeguamento del sistema per affrontare le sfide combinate che hanno prodotto la disuguaglianza mortale – la mancanza di scuole, un sistema dell’immigrazione a pezzi, salari stagnanti, e cose simili – non rinnovando totalmente il ruolo dello Stato nell’economia americana».
Per molti liberals e moderati statunitensi, spesso sembra che la destra ottenga ciò che vuole su questi argomenti e quindi diventa solo più estrema, chiedendo tagli su tagli, concessioni dopo concessioni, deregulation su deregulation, tagli alle tasse su tagli fiscali. Ma per molti conservatori, la destra non è nemmeno lontanamente vicina ad ottenere quel che realmente vuole, sia nell’era Reagan che negli anni di Gingrich ed ora con il Tea Party, perché quel che vuole è un governo ridotto ai minimi termini e non un governo un po’ più piccolo di quello che vorrebbero i liberals e la sinistra. La realtà è che la destra Usa non è mai riuscita a far dimenticare agli americani le politiche sociali di base stabilite da Franklin Delano Roosevelt e di Lyndon Johnson, in base alle quali una società ricca non può mai essere abbastanza ricca da avere bisogno di meno spesa sociale pro capite di quanto abbia fatto quando era notevolmente più povera. Insomma, detto in maniera semplice, i neoconservatori sono ancora traumatizzati dal New Deal di Roosevelt e dalla nuova frontiera kennedyana e la moderna visione conservatrice del mondo si basa sulla necessità di evitarne altre.
Quindi i repubblicani non vedono nelle proposte di Obama il tentativo moderato di tenere in piedi un welfare “soft”, un pezzo del puzzle per salvare un sistema operativo politico che sta invecchiando, ma ci vedono invece una fase di accelerazione del trend al quale si oppongono in maniera ideologica. Il dibattito tra Obama e il Congresso dominato dai repubblicani non è su come utilizzare lo Stato per espandere l’accesso alle cure sanitarie o all’educazione, è se il governo debba rendere accessibili queste a tutti.
Così per Obama, anche se fa un discorso non esplicitamente politico, quel che dice e fa equivale comunque ad una difesa di un welfare state che ha una base molto più ampia di quella che è disposta a tollerare il neo-conservatorismo capitalista. Se la disuguaglianza diminuisse per i repubblicani sarebbe davvero una minaccia per tutto ciò che secondo loro rende grande l’America, mentre per i progressisti, di fronte ad una società sempre più disuguale, non resta altro che ampliare gli sforzi del governo per tenere a freno gli eccessi egoistici del business e per fare in modo che l’America resti quella del sogno americano.
Beauchamp conclude: «Da tecnocrate quale egli è, Obama affronta questa guerra dei salari citando studi, non sventolando magliette partigiane insanguinate. Il discorso al Cap ha rappresentato la più autentica motivazione dell’ex professore per la sua politica: lui crede in quello che cerca di dire. Che siate o no d’accordo con lui (e molte persone ragionevoli leggono la stessa ricerca in modo diverso), questo è il terreno sul quale il presidente vuole combattere la sua battaglia. E mentre potrebbe preferirebbe discutere di quanto alto dovrebbe essere l’aumento del salario minimo, piuttosto che se dobbiamo alzarlo a tutti, è lì che viene bloccato».