Anche la pietà e la storia rischiano di morire soffocate nel Mediterraneo, tomba di migranti
Ha ragione il Dalai Lama: bisogna che l’immigrazione non sia più necessaria. Ma non è quello che vogliono Salvini o Calderoli
[30 Giugno 2014]
Trenta morti asfissiati in un barcone della disperazione, quasi quanto quelli che hanno perduto le loro vite nel lussuoso grattacielo galleggiante che si è schiantato sulle scogliere protette dell’Isola del Giglio e del quale aspettiamo di sapere la destinazione. Ma se delle vittime della Costa Concordia sappiamo tutto, e se del comandante Schettino sappiamo gesta e amori, niente, nemmeno il nome sapremo di questi poveri corpi stipati come bestie al macello in un barca alla deriva della disperazione, niente sapremo di chi sono stati gli aguzzini, i trafficanti di carne umana, gli uomini con la divisa e i banditi che li hanno accompagnati e feriti, percossi come un gregge di onagri, tra deserti e mari sconosciuti a cercare una speranza soffocata da gambe, corpi, malattie, fame e sete sulla tomba liquida che è il Mediterraneo.
Naturalmente è arrivato subito il messaggio xenofobo di chi vorrebbe respingere l’irrespingibile, di chi vorrebbe fermare sul bagnasciuga gli invasori, le grida guerriere dei novelli Mussolini da salotto e birreria padana, che quando erano al governo non sono riusciti a svuotare il mare della disperazione di chi fugge da guerre, dittature e fame con il loro sfondato colabrodo ideologico.
Nessuna pietà per quei corpi stritolati senza nome, per quella carne scura che ci sembra tantissima ma che è solo una goccia del mare che preme alle frontiere terrestri dell’Europa e che rischia di diventare uno tsunami dopo che gli integralisti islamici hanno dichiarato la nascita del Califfato tra Siria e Iraq, il nuovo mostro senza pietà partorito dalla suicida politica occidentale in Medio Oriente.
Ma non bisogna nascondersi che anche in Italia sta crescendo l’onda fangosa del razzismo che disumanizza qui corpi, che nasconde il calvario di centinaia di migliaia di poveri cristi, che ignora la disperazione di padri e madri che mettono i loro figli sui barconi per affidarli a un destino che pensano migliore, se non troveranno prima la morte. E’ per questo che c’è il bisogno di nascondere la storia della migrazione che è anche e soprattutto storia italiana, ma anche che Eritrea, Etiopia, Somalia, Libia non solo nomi dei Paesi di fuga e transito, di speranza, tortura e taglieggiamento dei migranti che approdano e affogano sui nostri mari, ma anche nostre ex-colonie, Paesi con regimi “amici”, dittature “amiche” e finanziate dai nostri governi, non raccontate se non in qualche trasmissione televisiva a notte fonda, terre nelle quali abbiamo sparso veleni e bombe, prima e dopo la loro indipendenza. Stati fantasma, come la Somalia e la Libia, che abbiamo contribuito a frantumare con la nostra insipienza, con la furbizia e la corruzione. Terre dimenticate dove si cantava “Faccetta Nera” e si bombardavano i villaggi con l’iprite, e si montavano le forche.
E allora ha ragione il Dalai Lama: bisogna fare in modo che l’immigrazione non sia più necessaria, che le persone non siano più costrette a scappare dal Paese che amano, che i figli non siano più costretti ad abbandonare le madri ed i padri, che i giovani non debbano fuggire alla guerra ed alla leva obbligatoria, che la democrazia da importare sia quella dei diritti umani, dell’eguaglianza, del diritto a studiare, avere un piatto di riso o di sorgo, ad essere curato, a professare una religione, ad avere una preferenza sessuale.
Ma non è quello che vogliono Salvini o Calderoli o qualche fascista di ritorno, perché sanno bene che quella marea di disperati che sta sottraendo le braccia e le menti migliori ai Paesi più poveri è funzionale al nostro sviluppo, che quelle guerre sbagliate sono il frutto di un dominio del denaro sul mondo che permette che le cose continuino ad andare come vanno, che la loro miseria è la nostra ricchezza finita nelle mani di pochi, come i diamanti leghisti della Tanzania.
Gli xenofobi e gli aizzatori di odio sanno bene che l’applicazione dello slogan “Ognuno padrone in casa sua” sarebbe devastante per le Padanie di tutto l’Occidente, perché le risorse che ci servono per fare i padroni a casa nostra le andiamo a prendere nei Paesi di chi muore stritolato e annegato nei barconi, contrattandole con i dittatori e i governi corrotti che costringono alla fuga il loro stesso popolo, come facevamo con Gheddafi e Siad Barre e come continuiamo a fare con tutti gli altri della loro risma, ungendoli con onori, armi e bustarelle, mentre la gente senza nome muore alle nostre frontiere di acqua e filo spinato. Numeri dimenticati su una lapide islamica o su una croce copta, poveri dai quali sembra distogliere gli occhi anche Dio o Allah, figuriamoci Salvini.