Regioni ed enti locali, pessime notizie
[16 Aprile 2015]
Ci stiamo avvicinando alle elezioni in molte regioni e comuni, anche in Toscana, ma sul loro futuro regna la più ampia confusione dovuta alle crescenti turbolenze istituzionali sul piano nazionale. E questo anche se la campagna elettorale sembra ignorarlo, tutta presa com’è da altre faccende anche poco edificanti.
Nei giorni scorsi si sono registrate alcune vivaci polemiche, ad esempio, sulle regioni speciali che hanno accresciuto la confusione. Rossi è stato contestato dalla Serracchiani che nega che il Friuli si avvalga di risorse appunto ‘speciali’, ossia non riservate anche a quelle ordinarie. Ora, da anni sappiamo che regioni ma anche enti locali confinanti con le Regioni speciali chiedono di diventarlo perché avrebbero maggiori competenze e anche risorse. E mentre le regioni ordinarie hanno uguale trattamento, quelle speciali hanno specificità diversificate in base ai diversi statuti. Quando negli anni ottanta il Parlamento svolse una indagine sulle regioni speciali, di cui ben pochi sembrano sapere qualcosa, ricordo l’incontro con Melis – presidente allora della Sardegna – che rivendicava una specialità ‘forte’ come quella della Sicilia, perché quella sarda al confronto era a suo giudizio di serie B. Bolzano e per certi versi la Valle d’Aosta, in ragione soprattutto delle loro minoranze linguistiche, godono di una specialità più tosta. Questi vantaggi, non solo finanziari, ricadono anche sui loro enti locali.
Ebbene, nelle ipotesi del nuovo Titolo V di cui nessuno sta parlando, alle regioni ordinarie si farà barba e capelli (come agli enti locali relativi) mentre per le regioni speciali tutto dovrebbe rimanere pressappoco così com’è. Insomma, mentre le regioni ordinarie avranno minori competenze e anche su queste lo Stato potrà mettere becco quando e come vuole, per quelle speciali non cambia nulla.
Per questo c’è chi chiede per protesta che la loro specialità sia sbaraccata. La soluzione non è probabilmente quella giusta, ma di sicuro è anch’essa al pari della ‘ordinarietà’ da rivedere e ridefinire.
E la partita non riguarderà solo le regioni ma anche le autonomie già malmesse, e non solo per la cancellazione delle province. Se questo accrescerà le differenze tra territori, soprattutto tra quelli delle regioni ordinarie e quello delle regioni speciali, quello che era l’obiettivo del vecchio Titolo V – ossia una vera collaborazione su un piano di pari dignità dello Stato, delle regioni e degli enti locali – risulterà ancor più compromesso.
Eppure nei più diversi e vari documenti, anche parlamentari, che questi siano gravi rischi (del tipo di quelli che il Senato in arrivo aggraverà ulteriormente) il dibattito politico-istituzionale, anche in campagna elettorale, non sembra andare oltre i ‘professoroni’ e i gufi. Possibile che ci si debba accontentare dei casini di Fitto e i vaffa di Salvini e Grillo?
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