Beato il Paese che non ha bisogno di supereroi
[14 Febbraio 2014]
Siamo talmente messi male in questo sfortunato e in parte auto-dannato Paese, che di fronte non alla partitocrazia come qualcuno si ostina ancora a dire, ma alla disintegrazione dei partiti e dei loro ideali quali che fossero, da tempo l’italiano medio aspetta il superuomo che arriva e risolve tutti i problemi. L’uomo forte, l’uomo che piace, l’uomo che ha la battuta pronta, l’uomo nuovo ecc. Per dirla tutta lo aspettava anche prima del ventennio, e poi fu ripagato “non benissimo”, diciamo. Ma da Craxi in poi, Repubblica dopo Repubblica, la cosa si è fatta sempre più acuta.
Per carità, un leader serve sempre per portare avanti le idee migliori, ma il guaio è che il leader ora serve solo per vincere le elezioni, quando va bene; per salire in qualche modo a guidare il governo, come in questo caso, quando va male almeno dal punto di vista democratico leggi elezioni. Non è Renzi, o Letta o chicchessia il problema, è la coazione a ripetere che preoccupa oltremodo. Anche Berlusconi è stato il nuovo che rompeva le logiche dei partiti, rottamatore ante litteram dei vecchi partiti e dei suoi vecchi apparati. E la maggioranza a dire: dai facciamo guidare lui che sa il fatto suo, guarda che impero ha costruito. Su come è andata a finire non c’è da soffermarsi.
Poi, al contrario ma sempre per la stessa logica, le critiche più severe sono state rivolte a chi ha fatto davvero umilmente qualcosa per l’Italia, quel medio-man di Prodi, che forse è il più sbertucciato tra gli ultimi premier perché considerato non adatto al ruolo. Peccato che a conti fatti, quindi ex post, tutti hanno dovuto riconoscergli qualcosa. Ma Renzi è il nuovo, si dirà. Peccato che il nuovo sia già stato anche Veltroni, ne vogliamo parlare?
Sia chiaro, anche quando sempre all’inseguimento del supereroe è salito, come al solito in modo rocambolesco, un profilo diverso dagli altri come Monti, non a caso lo chiamavano Super Mario, le cose non sono andate meglio. Qualcosa di buono peraltro inizialmente fece, per poi essere risucchiato nel vortice della mediocrità, con una caduta degna del motto rugbystico “the bigger they are the harder they fall” (più grossi sono, più grande è la botta che fanno quando cadono).
Insomma, a noi Renzi non ci impressiona proprio per niente. Forse per il cinismo con cui è passato sul cadavere di Letta, a cui aveva nottetempo preparato la fossa. E fosse anche il più bravo di tutti, l’Italia non è l’America (e nemmeno Firenze), e da noi fallirebbe probabilmente anche un Obama. Non fraintendiamoci: velocità e capacità di decisione sarebbero un toccasana per il Paese, ma per andare in quale direzione è il punto. Per noi la risposta non può che rimanere quella della sostenibilità, ma il prolungarsi di infeltrite larghe intese da qui al 2018 non ci pare possa essere una garanzia in tal senso. Più probabile l’emergere di scelte giocoforza destrorse, oppure il perdurare della paralisi italiana e l’orizzonte – al momento lontano – di un ritorno alle urne.
Speriamo certo di essere smentiti, ma i giochini del “ghe pensi mi” hanno dimostrato nei decenni di non aiutare di certo nella risoluzione dei problemi nazionali, soprattutto in un Paese che sta diventando sempre più egoista, anche a causa della crisi, e che declina quel “ghe pensi mi” nel pensare solo a se stessi. Non solo, siamo così caduti in basso che il problema non è ormai più il pilota (Renzi appunto, o chi per lui), ma la macchina (l’Italia), che praticamente non ha le gomme e la benzina.
Riteniamo quindi che dietro un buon leader non possa non esserci un eccellente partito, e quindi nel caso di Renzi siamo messi malissimo, per stessa ammissione dei leader di quello che comunque resta l’unico Partito con una minima organizzazione in Italia. Il Pd non si sa più nemmeno cosa sia e dunque, anche a noi, tocca sperare che Renzi sia davvero superman – e non il mentalist di Crozza – e risolva almeno qualcuno dei tanti problemi che abbiamo.
Sperare non significa ovviamente crederlo, come del resto speriamo che tutto questo serva almeno a far nascere un vero partito di sinistra. Ma anche qui andare oltre agli auspici è quasi autolesionismo, che per la sinistra italiana è storia e prassi quotidiana.