L'associazione ha presentato un dossier per un nuovo accordo quadro Anci-Conai
Rifiuti, i Comuni Virtuosi: «Soldi al riciclo e non agli inceneritori»
Abbiamo intervistato i promotori dell’iniziativa Ezio Orzes (assessore ambiente del Comune di Ponte nelle Alpi del direttivo dell'associazione) e Attilio Tornavacca (direttore di Esper)
[5 Luglio 2013]
Nel vostro dossier sull’accordo ANCI-CONAI sostenete che il contributo che il Conai riconosce ai Comuni per i costi di raccolta differenziata dei rifiuti è il più basso di Europa e comunque non in linea con i costi effettivi sostenuti. Quindi pensate che il lavoro svolto da Anci al tavolo di contrattazione in fase di accordo non ha favorito i propri associati?
«Pensiamo che i Comuni italiani non siano interessati ad assistere a polemiche sul lavoro svolto dai rappresentanti dell’ANCI per stabilire insieme al Conai le condizioni dell’ultimo accordo stipulato nel 2009. Quello che interessa ai Comuni virtuosi ed anche a tutti i Comuni che vogliono raggiungere elevati livelli qual-quantitativi di riciclo è di capire come uscire da una situazione che appare ormai insostenibile soprattutto quando si scopre che, mentre i Comuni spesso non riescono ad erogare i servizi essenziali a causa dei continui tagli di bilancio, il sistema Conai ha chiuso i propri bilanci con un utile di esercizio complessivo di 166 milioni di euro nel solo 2011 ed ha accumulato riserve per ben 317 milioni di euro nello stesso anno. Questi utili hanno consentito al sistema Conai di poter vantare il “merito” di aver ridotto di un ulteriore 30 % l’importo del Contributo Ambientale Conai a carico delle imprese nel 2012 rispetto al 2011 ma tali mancate spese non sono state ottenute grazie allo sforzo delle aziende che producono imballaggi (il Corepla sostiene ad esempio che “le plastiche miste sono in costante aumento e sono la frazione più critica da riciclare”) ma grazie allo sforzo enorme di tanti Comuni che, nonostante i tagli di bilancio, hanno continuato ad investire e sviluppare la RD domiciliare degli imballaggi e delle altre frazioni. Sarebbe quindi stato doveroso, da parte del sistema Conai, ridistribuire tali maggiori utili agli enti locali invece che penalizzarli oltre ogni limite tollerabile con l’ulteriore restringimento delle % di impurità tollerate per accedere ai corrispettivi stabiliti con l’ultimo accordo».
Il Conai sostiene che interviene con risorse proprie per garantire il ritiro degli imballaggi su tutto il territorio e per creare piattaforme di riciclo laddove non esistevano. Non credete che questi interventi dovrebbero rientrare tra i compiti del CONAI?
«Il Conai deve obbligatoriamente intervenire per garantire il ritiro dei materiali conferito da parte dei Comuni ma questo, anche secondo l’autorevole e vincolante parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, non implica che per poter svolgere tale ruolo il sistema debba continuare a godere di una posizione di monopolio nel proprio settore che risulta in contrasto con la decisione della Commissione CE del 20 aprile 2001, COMP D3/34493 dove si evidenzia che “la possibilità per produttori e distributori di ricorrere a sistemi alternativi ai consorzi di filiera attualmente esistenti potrebbe apportare migliori efficienze nei risultati complessivi della raccolta e del recupero”. A tale conclusione era giunta anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (XIV legislatura) nella relazione finale del 15 febbraio 2006 dove si legge (p.44) che “un esame complessivo del sistema induce a registrare, accanto ad indubbie positività, alcune inefficienze dovute, probabilmente, alla posizione monopolistica dei consorzi”.
Va poi rammentato che il sistema Conai non “interviene con risorse proprie” ma con risorse garantite dallo stato che, dopo aver reso obbligatoria la costituzione del Conai ed il versamento del Contributo Ambientale Conai, invece di incamerare tale contributo ha deciso di affidare il compito di gestire tale risorse al mondo delle imprese produttrici di imballaggi per tramite del Conai. Il Governo si è però riservato il diritto di vigilare sul reale raggiungimento degli obiettivi previsti da parte del Conai e di intervenire allorquando l’ANCI ed il Conai non riescono a trovare un accordo (era già successo nel 1999 per il vetro).
Rispetto alla doverosa attività di verifica dell’operato del sistema Conai bisogna infine evidenziare che l’ISPRA, a 15 anni dall’istituzione del Conai, è ancora costretta a scrivere nell’ultimo rapporto che a causa “dell’incompleta e parziale informazione fornita dal Consorzio Conai… l’ISPRA non è in grado di monitorare in maniera efficace il ciclo di gestione dei rifiuti di imballaggio, validando i dati trasmessi dal CONAI, e soprattutto di verificare il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati, oltre che dalla direttiva 94/62/CE, anche dall’articolo 11 della direttiva 2008/98/CE”».
Nella vostra proposta si dice che il CAC “deve essere commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio e favorendo gli imballaggi totalmente riciclabili con bassi costi ambientali energetici ed economici”. Da parte sua il Conai risponde che ha abbassato i costi per non mettere in difficoltà le aziende in questo periodo di crisi e che altrimenti i costi sarebbero stati spalmati sui consumatori finali. Del resto il CONAI rivendica anche il lavoro svolto per la “prevenzione” sugli imballaggi, che è un ruolo che devono svolgere per legge.
«Rispetto alla tesi secondo cui un aumento del CAC sarebbe negativo perché verrebbe poi spalmato sui consumatori finali, bisogna evidenziare che se il CAC venisse commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi (penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio), le uniche aziende che potrebbero veder salire leggermente i costi di produzione sono quelle che immettono in commercio imballaggi difficilmente riciclabili. Considerando che anche un CAC triplo rispetto a quello dell’attuale inciderebbe sul prezzo finale per una percentuale irrisoria (da 0,07 allo 0,21 % per gli alimentari e dallo 0,04 allo 0,12 % per quelli non alimentari) l’aumento, se opportunamente declinato secondo il modello francese, consentirebbe di avviare almeno un percorso di graduale introduzione del principio europeo “chi più inquina, più paga”. Le aziende e i consumatori che continueranno quindi a preferire imballi ad elevato impatto ambientale subiranno una leggero penalizzazione. Al contrario le aziende che già oggi stanno investendo risorse per rendere più facilmente riciclabili i propri imballaggi (e di conseguenza i consumatori che scelgono tali prodotti) con questo sistema riusciranno finalmente ad ottenere anche un parziale riconoscimento economico ai propri sforzi (grazie alla riduzione del CAC) mentre, con il sistema attuale, non vengono incentivate a sviluppare tali attività virtuose. Rispetto al lavoro svolto dal Conai per la prevenzione si deve registrare che i risultati ottenuti sono stati veramente deludenti visto che dal 2000 al 2011 gli imballaggi immessi al consumo sono aumentati del 4% (e perfino del 9 % per quanto riguarda gli imballi più problematici secondo l’UE cioè quelli in plastica). Alcuni operatori del settore hanno infatti evidenziato che la scelta del legislatore di porre in capo al Conai l’elaborazione ed applicazione del Programma generale per la prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio non poteva produrre effetti diversi da quelli poi ottenuti poiché si affidava l’organizzazione delle iniziative per la riduzione del consumo degli imballaggi a perdere proprio ad un Cda composto quasi totalmente da rappresentanti delle imprese che producono imballaggi a perdere e che non potevano quindi evitare di tutelare innanzitutto gli interessi delle aziende che li avevano nominati. Non è probabilmente un caso se il Conai si è subito dichiarato contrario anche solo all’ipotesi di introdurre anche in Italia l’obbligo del cauzionamento per le bevande».
Come ritenete possibile aumentare il CAC alle aziende senza far ricadere i costi sui cittadini al momento dell’acquisto delle merci?
«Se fosse vero che un aumento del CAC determina automaticamente un aumento dei prezzi al consumo sarebbe vero anche il contrario e cioè che l’applicazione in Italia del CAC più basso a livello europeo avrebbe dovuto garantire al consumatore italiano un costo dei beni di consumo inferiore alla media europea (anche se questo si è tradotto inevitabilmente in costi più elevati della bolletta rifiuti a carico dei consumatori). Ma nonostante questo innegabile vantaggio per le imprese italiane, l’Italia è diventata uno dei paesi europei con l’Indice di Livello dei Prezzi (PLI) più elevato in Europa secondo Eurostat[1].
I motivi che hanno determinato questa situazione paradossale che smentisce quanto sostenuto dal Conai sono due:
- il CAC incide sui prezzi al consumo in Italia per una % irrisoria e cioè per lo 0,07% sui prodotti alimentari e per lo 0,04 % per i prodotti non alimentari;
- i prezzi al consumo sono determinati essenzialmente dalle politiche di vendita decise dalla grande distribuzione e dagli intermediari e quindi non ci si deve stupire se lo stesso prodotto italiano imballato in tetrapak (o altro materiale) costa di più in Italia (dove il CAC è di 6 € a tonnellata di imballaggio utilizzato) rispetto a quanto costa in Francia (dove il CAC è di 164 €/tonnellata cioè quasi 30 volte di più) poiché questa industria preferisce investire quello che risparmia in Italia (grazie al CAC quasi nullo) per essere più competitiva su un mercato estero (con buona pace delle aspettative dei nostri consumatori).
Per quanto riguarda la necessità di aumentare il CAC va innanzitutto rammentato che è stato lo stesso Conai, nell’audizione tenutasi il 14 settembre 2006, ad affermare che “… Negli ultimi anni quasi tutti i CAC delle diverse filiere sono rimasti sostanzialmente invariati … ma è evidente che, se la raccolta differenziata continua a crescere a buoni ritmi e soprattutto con un miglioramento dei risultati al Sud, andrà messo in preventivo un sostanziale incremento dei costi variabili con la conseguente necessità di aumentare i contributi per farvi fronte”».
Pensate a degli standard per commisurare il CAC alla effettiva riciclabilità?
«In relazione alla necessità di introdurre un nuovo sistema di classificazione dell’effettiva riciclabilità di un bene si deve evidenziare che, partendo dal presupposto che è il riciclatore il soggetto più qualificato per indicare quali sono gli imballaggi in plastica più (o meno) idonei al riciclo, EuPR (European Plastic Recyclers) ha avviato un progetto denominato Recyclass™ che verrà presentato alla Fiera Interpack 2014 di Düsseldorf. Si tratta di un sistema di classificazione, in prima battuta su base volontaria, utilizzabile in tutta Europa che attribuisce una classe di riciclabilità a un qualsiasi packaging in plastica tramite lettere dalla A alla G, sulla falsariga delle sette classi di efficienza energetica dell’UE per gli elettrodomestici. Oltre a venire adottato da Designers, Industria e Grande Distribuzione volontariamente tale sistema potrà essere a disposizione degli enti che gestiscono su base nazionale la gestione degli imballaggi (quali il Conai in Italia) che potranno disporre di un modello di riferimento utile per determinare quote differenziate di contributi ambientali per le aziende utilizzatrici di packaging: basse per gli imballaggi facilmente riciclabili, elevate per imballaggi meno riciclabili e molto elevate per quelli non riciclabili affatto[2].»
“Estendere e riconoscere ai comuni i contributi per tutti i materiali plastici effettivamente riciclabili”. Questa è una proposta che potrebbe essere molto ben compresa dai cittadini, che non capiscono perché un imballaggio o un bicchiere di plastica possa andare a riciclo e una forchetta o un giocattolo no. Credete che il sistema di selezione sia pronto per sostenerla?
«Alcune iniziative (in particolare in Veneto ed in Toscana) hanno già dimostrato la fattibilità tecnica del riciclo di tali materiali che va però sostenuta anche con lo sviluppo degli acquisti verdi non solo nella pubblica amministrazione, ma anche presso i privati. Proprio partendo dall’analisi degli oggetti che già i cittadini conferiscono “per errore” con gli imballaggi di plastica, il sindaco di New York ha recentemente esteso la raccolta della plastica a beni di plastica rigida come giocattoli e articoli casalinghi che verranno processati in un impianto di riciclo che si sta ultimando in città».
“Eliminare qualsiasi contributo del CONAI destinato all’incenerimento, e destinare i contributi a sostegno di cicli chiusi di recupero della materia con particolare attenzione alle frazioni plastiche residue”. Questa è una proposta che è molto in linea con la nostra linea editoriale, in quanto riteniamo che il sostegno al riciclo deve essere almeno di un euro/ton superiore a ciò che costa il recupero energetico (incentivi GSE compresi) e almeno del 50% di ciò che viene destinato alle RD (come da obiettivi di direttiva e di legge). Credete che sia verosimile ottenere questa proposta nel prossimo accordo?
«Se si considera che le risorse economiche necessarie a bruciare gli scarti dell’attività di selezione degli imballaggi (circa 26 milioni di euro all’anno) vengono attualmente destinate quasi esclusivamente ad impianti di incenerimento ed a cementifici collocati oltreconfine, si può ben comprendere che ormai anche in Italia si è sviluppato un largo consenso sulla proposta di avviare attività e tecnologie in ambito nazionale che possano consentire di creare nuovi e qualificati posti di lavoro invece di mandare letteralmente “in fumo” tale ingenti risorse».