All’alba del 17 giugno 1944 lo sbarco, cui seguirono anche stupri e violenze sui civili
Settant’anni fa i senegalesi e i marocchini liberarono l’isola d’Elba dai nazisti [VIDEO]
Oggi sono divenuti i gentili “vu cumprà” che vendono casa per casa le loro povere mercanzie
[17 Giugno 2014]
Settanta anni fa, all’alba del 17 giugno 1944, le truppe alleate, costituite in gran parte dalle truppe coloniali francesi agli ordini del generale Jean-Marie de Lattre de Tassigny, provenienti dalla Corsica, attaccarono Marina di Campo, ancora in mano alle truppe naziste e italiane, dopo aver neutralizzato la piazzaforte annidata nel promontorio dell’Enfola.
Era l’Operazione Brassard, una spedizione di un centinaio di navi inglesi e americane che riversarono sulla spiaggia campese, allora una distesa sterminata di dune che si spingevano per centinaia di metri nell’entroterra. L’attacco suicida di truppe senegalesi e marocchine, completamente drogate e ubriache per affrontare i campi minati sui quali morirono a centinaia, in cambio ebbero 48 ore di mano libera durante i quali i “civili” comandi francesi e inglesi voltarono lo sguardo dall’altra parte mentre in tutta l’Elba occidentale venivano violentate più di 200 donne e compiute violenze e saccheggi contro gli elbani.
Ma è al sangue di quei poveri senegalesi e marocchini che riposano nel cimitero alleato nascosto dove prima c’erano le dune, tra la selvaggia urbanizzazione turistica del dopoguerra di Marina di Campo, che l’Elba e la Toscana devono la loro liberazione. Uomini oppressi da una potenza coloniale che combattevano una guerra altrui, scatenata dai fascisti italiani e dai loro alleati nazisti e giapponesi. Guardando l’eccezionale filmato sullo sbarco che pubblichiamo in fondo pagina si capiscono molte cose, a cominciare dai pochi soldati di colore dei Commandos d’Afrique inquadrati, ma che furono la quasi totalità delle vittime tra le truppe alleate.
L’attacco ad un’Isola già provata dai ripetuti bombardamenti sugli altiforni e dal criminale mitragliamento aereo nazista sul mercato di Portoferraio e dall’affondamento da parte di un sommergibile inglese della nave passeggeri Sgarallino si trasformò, fin dalla spiaggia coperta dal sangue dei “marocchini”, come gli elbani ribattezzarono tutte le truppe coloniali “nere”, in una strage mai vista sull’Isola: 700 tedeschi e italiani morti, 1.995 fatti prigionieri. I francesi/africani ebbero 500 vittime e altrettanti feriti, gli inglesi 38 morti e 9 feriti.
Mentre commandos attaccavano Capo Poro, l’Enfola, Marciana Marina, l’atro spezzone del contingente franco-inglese-africano sbarcato sulla spiaggia di Fonza, oggi nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e circondato da ville esclusive, attraversò l’Elba da sud a nord e da ovest ad est, attaccando anche Capoliveri e Porto Azzurro e liberando Portoferraio e l’intera isola in due giorni. Ci furono 9 vittime anche a Rio Marina, dove un aereo alleato sganciò per sbaglio una bomba sulla casa dell’ex podestà, scambiata per un presidio tedesco.
Le violenze e gli stupri all’Elba vennero presto dimenticati e gli abitanti si abituarono alla presenza di quegli uomini neri che quasi nessuno aveva mai visto prima, poi nacquero i figli della violenza della guerra e alcuni degli amori di una pace ritrovata.
A 70 anni dalla sanguinosa conquista e liberazione dell’Elba la memoria di quegli uomini mandati a morire sui campi minati e ad aprire la strada a inglesi e francesi sotto le mitraglie nazifasciste che spazzavano la spiaggia oggi piena di turisti e ombrelloni, sfuma in un cimitero dimenticato e nei ricordi della comunità senegalese, che ha voluto ribadire quest’anno la fierezza di un popolo ora indipendente in una commemorazione contrastata a Marina di Campo. Oggi i “marocchini” che liberarono l’isola sono i gentili “vu cumprà” che vendono casa per casa le loro povere mercanzie, bussando alle stesse porte di campagne e paesi che i loro nonni 70 anni fa spalancarono a calci per liberarci ma anche per prendere il bottino di guerra e sofferenza che era stato loro promesso dai “bianchi” francesi.
Oggi su quella sabbia mondata dal sangue e sulle verdi colline fiorite dell’Elba si può pensare a ricostruire una memoria comune di liberazione dal nazifascismo e dal colonialismo, e un comune futuro di umanità e convivenza.