Somalia: Medici Senza Frontiere costretta a fare le valigie
[14 Agosto 2013]
Le speranze che la situazione somala potesse cambiare radicalmente e tornare lentamente alla normalità con l’appuntamento elettorale dello scorso anno (settembre 2012), concluso con l’elezione del presidente Hassan Sheikh Mohamoud e con l’instaurazione di un governo stabile, sono andate vane.
Nel Paese continua il clima da guerra civile e ciò è confermato da una notizia che sancisce, a nostro avviso, il fallimento delle politiche occidentali di cooperazione.
Medici senza frontiere ha annunciato oggi la chiusura di tutti i suoi programmi in Somalia, dopo 22 anni di presenza continua, a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza. Quindi anche una delle ultime Ong occidentali presenti nel Paese si ritira.
«Dopo aver lavorato senza interruzioni in Somalia dal 1991, l’organizzazione medico-umanitaria Medici senza frontiere (Msf) annuncia oggi la chiusura di tutti i suoi programmi nel Paese, come risultato dei gravi attacchi al proprio personale in un contesto dove gruppi armati e autorità civili sempre più sostengono, tollerano o assolvono l’uccisione, l’aggressione e il sequestro degli operatori umanitari», ha spiegato in una nota l’Ong.
«Nei suoi 22 anni di attività in Somalia, Msf ha scelto di tollerare un livello di rischio senza precedenti e di accettare grossi compromessi ai propri principi operativi di indipendenza e imparzialità, negoziando con gruppi armati e autorità di tutte le parti coinvolte, in nome degli eccezionali bisogni medici del Paese», ha aggiunto il presidente di Msf International Unni Karunakara. «L’attuale situazione però ha creato uno squilibrio insostenibile tra i rischi e i compromessi che il nostro personale deve prendere e la nostra capacità di fornire assistenza alla popolazione».
Msf precisa che nei progetti sanitari interrotti lavoravano oltre 1.500 persone che fornivano una vasta gamma di servizi, tra cui quelli sanitari di base gratuiti, trattamenti per la malnutrizione, salute materna, chirurgia, risposta alle epidemie, campagne di vaccinazione, fornitura d’acqua e generi di prima necessità.
Nel 2012, oltre 600 mila pazienti sono stati visitati, 41 mila ricoverati e quasi 59 mila vaccinati. Senza questo presidio, secondo diversi punti di vista, siamo tutti un po’ più “poveri”: in primis le popolazioni locali che non avranno un approdo sicuro per farsi curare e/o sostenere, le autorità locali che vedranno incrementare sofferenze e disagio sociale anche se in questo terreno di coltura hanno incrementato il loro consenso. Sarà più povera infine anche la comunità internazionale che non ha saputo tutelare un avamposto umanitario attraverso adeguate politiche di cooperazione.