Sostenibilità in prigione. Il progetto avanguardista di Washington compie 5 anni
Nei 12 istituti penitenziari dello Stato di Washington si studiano le scienze naturali e si mettono in pratica. Per il beneficio di tutti: comunità carceraria, spesa pubblica, autodeterminazione dei detenuti
[19 Agosto 2013]
Ha compiuto i 5 anni il meritevole e innovativo progetto del Dipartimento di Correzione dello Stato di Washington, creato e portato avanti insieme all’Evergreen State College.
Si tratta di un progetto nato per collegare i temi della sostenibilità ambientale ed economica alla gestione delle carceri, intesa sia come gestione logistica dei consumi e dei bisogni delle strutture penitenziarie, ma anche rispetto al lavoro dei detenuti, che in questo modo si confrontano con temi e valori importanti, che riguardano spesso la loro stessa vita all’interno della prigione, ma non solo.
SPP – è la sigla del progetto “Sustainability Prison Project” – oggi può vantare la presenza in tutte e 12 le carceri di Washington, dove porta avanti non solo una politica di riduzione dei consumi, ma anche una politica detentiva rispettosa dei diritti umani e compatibile con le finalità di recupero e reinserimento sociale dei detenuti, per i quali il tempo, in questo modo, è scandito dall’apprendimento di conoscenze utili e dal lavoro sano.
Il Dipartimento di Washington si occupa di oltre 17.000 detenuti nelle 12 prigioni dello Stato: una mole piuttosto importante che richiede impegni economici statali di oltre 1 miliardo di dollari all’anno. In fondo, si fa notare, le stesse carceri sono delle piccole città operative 24 ore su 24, con necessità e costi spesso elevati, e se i principi di sostenibilità devono valere per le città è necessario che valgano anche per le istituzioni carcerarie.
È ciò che ha pensato lo stesso Dipartimento, già dai primi anni 2000 quando ha avviato una rigida politica di riduzione dei consumi, di energia, di acqua, di rifiuti. In seguito, nel 2008, è stato anche avviato il progetto pilota – che ha compiuto 5 anni quest’anno – per connettere scienziati e detenuti nello studio della sostenibilità – e la connessa mole di lavoro – all’interno della vita carceraria. Il progetto, che inizialmente coinvolgeva 4 prigioni, è cresciuto e si è concentrato su tre pilastri: formazione scientifica, conservazione biologica e operazioni sostenibili, con specifici programmi per ciascuna delle 4 istituzioni carcerarie.
Le attività vanno dal riciclo artigianale di oggetti di uso comune, alla creazione di compost e al giardinaggio, ma anche riparazione di biciclette e interventi veterinari, come la cura di cani e gatti “convalescenti” che attendono un’adozione. E così accade che al Cedar Creek Correction Center ci si concentri proprio nel riuso, nell’orticultura biologica, nell’allevamento di arnie, risparmio idrico ed energetico, mentre al Mission Creek Correction Center for Women ci sono anche squadre che operano insieme al dipartimento per le risorse naturali nella riapiantumazione di alberi e salvaguardia boschiva antincendio. Nel Washington Correction Center for Women c’è anche una fattoria biologica la cui produzione va a incrementare le locali scorte alimentari, e in tutte le prigioni si alterna lo studio delle scienze naturali al lavoro pratico nei campi o nei laboratori. Affascinante ad esempio il progetto di ripopolamento della rana macchiata dell’Oregon, esemplare in via di estinzione, o delle farfalle Checkerspot di Taylor o della conservazione delle piante autoctone della prateria.
Al progetto hanno preso parte, in questi anni, l’Università di Washington, la Washington State University e l’Università dello Utah, come partner accademici dell’Evergreen State College, l’istituto di ricerca da cui sono nati i progetti di SPP.
Le voci dei detenuti, raccolte regolarmente nel sito del progetto, raccontano di un’esperienza ben riuscita e dal grande potenziale sociale: «Mi è stato proposto di trasformare un’area colma di erbacce e rovi in un giardino», commenta uno dei tanti detenuti che hanno preso parte al programma. «Non avevo particolari conoscenze di orticultura, ma ho accettato lo stesso. Da allora ad oggi questo è diventato più che un lavoro: è quasi una vocazione. Ho realizzato che la sostenibilità è un elemento fondamentale di una società sana, così ho cominciato a studiare e ad applicare ciò che imparavo per portare avanti la mia futura “oasi”. Sono grato all’universo per l’opportunità che mi è stata data».
C.C.