Rischio e percezione del rischio, dalle spiagge bianche di Vada all’Eni
[7 Giugno 2013]
La vicende Solvay suscita in noi riflessioni che vanno oltre all’indagine in corso. Se ha inquinato, o sta inquinando (e in che misura), lo diranno le indagini, mentre al momento ci fidiamo di quanto ha detto e scritto l’Arpat. Tuttavia il tema a noi non pare tanto o solo questo, ma la discussione che ne è scaturita – peraltro non nuova – su una spiaggia tra le più frequentate in Toscana, nonostante la “vista fabbrica” (peraltro chimica). Ci sfugge infatti totalmente il fascino di una spiaggia a dir poco artificiale (prima che eventualmente dannosa per l’ambiente e per l’uomo) e di un mare innaturalmente azzurro.
Ma questo è un problema nostro, tuttavia ci viene da pensare alla battaglia sul bello di cui si è tornati a parlare negli ultimi giorni. Le pale eoliche, ad esempio, sono ritenute dai più brutte e deturpanti; per non parlare dei pannelli fotovoltaici a terra, che quando va bene sono un lago di specchi, ma sempre inguardabile. I pasdaran delle decisioni da prendere dal basso potrebbero provare a fare un referendum ai frequentatori delle spiagge bianche per vedere se sono favorevoli o contrari alla loro effettiva chiusura alla balneazione.
Non sarebbe fuori dal mondo pensare che potrebbe nascere persino un comitato “spiagge libere” dopo che anni fa – qualcuno si ricorderà – nacque il comitato pro auto a motore euro 0, in nome della libertà individuale o giù di lì. Le spiagge bianche hanno anche avuto le bandiere blu (che greenreport.it da sempre contesta), ma mettiamo da parte anche questo. Pensiamo invece ad altre situazioni del nostro territorio: l’Eni di Livorno, ai tempi lo Stanic. Attorno al quale fu costruito il ben noto insediamento abitativo chiamato Villaggio Emilio. Di certo si poteva non costruirlo, ma poi andarci ad abitare è stata (crediamo) una scelta individuale. Si dirà che ai tempi non si sapevano molte cose, oggi invece… Va bene, ma allora perché si continua ad andare alle spiagge bianche, se non altro di fronte e alla foce degli scarichi di un’industria chimica come la Solvay (c’è chi ci porta anche i bambini) e poi si fanno le battaglie contro il rigassificatore, per dirne un’altra, che stazionerà a diverse miglia dal mare? Ma se, usiamo un tema caro agli oppositori, dovesse esplodere la Solvay – che inquini o no – non sarebbe un problema frequentare la spiaggia là sotto a poche centinaia di metri?
Qualcuno potrebbe argomentare giustamente che non è detto che chi frequenta le spiagge bianche, siano anche tra coloro che contestano il rigassificatore o le pale eoliche o altri impianti ritenuti nefasti per l’ambiente, tuttavia l’ulteriore domanda da porsi è: chi parla per conto della “gente” a nome di chi parla? E chi va dietro a chi ritiene di parlare per la gente, a che gente poi fa riferimento? Sarà un caso se chi abita nella zona le spiagge bianche le chiama il fosso?
E arriviamo al punto: se questo modello economico non ci piace e lo vogliamo cambiare perché produce inquinamento e depaupera le risorse del pianeta, il criterio del bello non è accettabile come unico parametro per prendere una decisione; quello della scelta dal basso men che meno; l’unico valido è quello della sostenibilità ambientale e sociale che, attenzione, non vuol dire zero qualcosa (rifiuti, impatti, emissioni) perché non esiste niente che non abbia impatto. Diversamente sarà bene chiarirsi: se si contesta tutto, vuol dire che ci va bene quello che abbiamo.
Se si contesta il petrolio, ma anche le rinnovabili e il gas, ci teniamo non solo il petrolio, ma siccome va riducendosi, ci teniamo anche il carbone (per non parlare del nucleare). Se vogliamo aumentare la raccolta differenziata dei rifiuti urbani – anche se non è l’approccio giusto da cui partire per pensare di dare una risposta incisiva per la gestione dei rifiuti – bisogna che si abbia chiaro cosa significa avviarli al riciclo, ovvero un processo industriale che ci restituirà materia seconda cui trovare mercato e scarti cui trovare una destinazione: ogni chilo di carta avviata al riciclo crea mezzo chilo di rifiuti speciali (pulper e fanghi di cartiera) che hanno solo due strade, essere bruciati recuperando così l’energia; oppure smaltiti in discarica. Plastica e vetro, con percentuali e scarti diversi, stanno dentro questo meccanismo. Queste che qualcuno chiama “nocività” qualcuno deve trattarle, ma se poi “nocivo” diventa chi le tratta come si fa ad andare avanti? Parlare dei rifiuti non urbani, quattro volte quelli urbani, darebbe poi la reale dimensione dell’abissale differenza che c’è tra le chiacchiere, chi gli va dietro e i la realtà dei fatti.
Anche solo mettere un piede in mare ha un impatto, anche accendere un fiammifero produce C02. La legge dell’entropia ci obbliga a fare i conti con i nostri scarti e i consumi di materia ed energia; pensare che questi spariscano perché spariscono davanti agli occhi gli impianti è come credere che, siccome sono bianche, le spiagge di Vada siano davvero i Caraibi.