
Tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), tutto sulla versione Frankenstein italiana

La tassa sulle transazioni finanziarie (TTF) è stata di frequente oggetto dell’attenzione degli organi di informazione nazionali. Brevi picchi di interesse tematico in concomitanza con date importanti nella “biografia” travagliata della moderna variante della Tobin Tax, a rimbombare in un crescendo corale di critiche e argomentazioni quanto meno discutibili.
Le ultime settimane hanno registrato una nuova ondata di fermento mediatico sul fronte della TTF. L’altisonante coralità dei media mainstream, seppur spesso distorta, rappresenta però un buon segnale: una pagina nuova sta per essere voltata nel calendario della tassa sulle transazioni finanziarie. Prima di vedere di cosa si tratta (in un altro articolo, disponibile qui, ndr), val forse la pena – per quei lettori che non avessero seguito il tema con continuità – di ritornare brevemente sui capitoli precedenti della saga TTFina.
Lo schema della “TTF” italiana viene inserito nella legge di stabilità (ex finanziaria) per l’anno in corso, approvata dal Parlamento alla fine del dicembre 2012. A Palazzo Chigi c’è ancora Mario Monti e al Tesoro Vittorio Grilli. Il disegno della “TTF” nazionale (ispirato al modello francese introdotto da Hollande nell’agosto 2012) proposto dall’esecuti vo subisce pochi emendamenti in Parlamento. Al MEF il compito di rendere attuativa l’imposta con un decreto ministeriale da emanare entro il 1 Marzo 2013.
Più propriamente dovremmo parlare di tre diverse imposte fiscali.
La prima si applica alla compravendita sul mercato finanziario italiano di azioni e obbligazioni emesse da società italiane quotate in borsa e con capitalizzazione superiore al mezzo miliardo di euro (le cosiddette società grandi capitalizzate o blue chips).
La seconda si applica alla compravendita di strumenti derivati con sottostante rappresentato per oltre il 50% dalle azioni o obbligazioni delle blue chips.
La terza colpisce il trading algoritmico ad alta frequenza. Più precisamente, se nel corso di una giornata di contrattazioni il numero degli ordini (relativi alle sole azioni e obbligazioni blue chips e, separatamente, ai derivati sulle stesse) cancellati o modificati entro 5 secondi dall’immissione da un operatore che fa uso di un algoritmo di trading supera il 60% della totalità degli ordini giornalieri immessi, l’operatore dovrà versare una tassa dello 0.1% sull’eccedenza. La tassa vuol così scoraggiare il fenomeno del layering che si configura come una vera e propria manipolazione del mercato con ordini di acquisto o vendita cancellati pochi secondi o frazioni di secondo prima di essere eseguiti, falsando le informazioni sulle reali intenzioni trasmesse ad altri operatori.
A fine febbraio il decreto del MEF viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il 1 marzo rappresenta “una pietra miliare”: entra in vigore la tassa sulle azioni e obbligazioni. La tassa sui derivati e sulle operazioni ad altra frequenza dovrà seguire a metà luglio, ma il decreto attuativo di Via XX Settembre presenta dei gap normativi, inconsistenze e incongruenze che vanno rivisitate. Con il “DL del Fare” l’entrata in vigore delle due tasse slitta al 1 settembre, mentre la riscossione dell’imponibile per tutte e tre le tasse è posticipata a metà ottobre.
Il 18 settembre (data intorno alla quale si scatenano le agenzie stampa e l’eco mediatico ritorna a rimbombare) un comunicato stampa del MEF annuncia la pubblicazione delle modifiche al decreto dello scorso Febbraio. Le tre “TTF” nella loro stesura finale sono pronte a entrare in vigore dal 5 di Ottobre.
Verrebbe da dire : è fatta, finalmente la tanto attesa TTF nazionale vedrà la luce. Non è purtroppo così e l’uso delle virgolette sull’acronimo della tassa è tutt’altro che casuale. Approfondendo le analisi della campagna ZeroZeroCinque (www.zerozerocinque.it), una coalizione di oltre 50 organizzazioni della società civile italiana impegnata da più di tre anni nella promozione della TTF su scala nazionale e globale, lo schema della tassa elaborata dai tecnici del MEF appare poco solido e benché meno ambizioso.
Le debolezze della “TTF” ministeriale per gli attivisti italiani sono tante. Riguardano il sovrastimato gettito che la misura potrebbe portare nelle casse pubbliche, risorse che la campagna chiede di destinare alle politiche di lotta alla povertà in Italia, a progetti di cooperazione internazionale e a misure di mitigazione dei cambiamenti climatici. Ma – ancor più preoccupante – la normativa nazionale non risponde alla sua funzione primaria, ovvero non rappresenta un valido strumento di contrasto alla speculazione sui mercati finanziari, di disincentivo al trading ad alta frequenza (completamente scollegato dalle dinamiche e dalle necessità dell’economia reale) e di ridimensionamento del casinò finanziario in cui la finanza internazionale si è da più di un decennio trasformata con gravi conseguenze per i nostri bilanci pubblici e familiari.
La flebilità e la paradossale innocuità delle tre “TTF” del MEF nel contrasto alle dinamiche speculative sui mercati andrebbe motivata. Proviamoci! La base imponibile è estremamente limitata, la misura colpisce i saldi giornalieri e non il volume totale delle transazioni effettuate, le posizioni intraday sono esentate. Di fatto la “TTF” del MEF si rivela nella sua ideazione penalizzante per i cassettisti e per investitori che operano in ottica di lungo periodo! Dove sono le misure contro lo short-termismo – il dogma del profitto nell’orizzonte a breve - che la tassa ideale dovrebbe precettare? Solo una microscopica parte degli strumenti derivati è inoltre intercettata dall’imposta (circa il 2% del totale) . Paradossalmente le azioni delle blue chips possono ancora essere utilizzate come sottostante di un contratto derivato senza far scattare la tassazione della transazione che lo abbia come oggetto. Derivati sui dividendi sulle blue chips, derivati sulle commodities, sulle valute, sui CDS, ecc. sono esentati.
L’elenco delle esenzioni non termina qui: fuori dalla base imponibile i titoli di stato (strumenti preferiti per attacchi speculativi contro l’Italia negli scorsi anni), esenzioni per diverse istituzioni finanziarie.
La soglia del 60% di ordini cancellati durante una giornata di trading algoritmico oltre la quale scatta la tassa sulle operazioni ad alta frequenza è troppo elevata e non rappresenta una seria minaccia al layering (altrove, come in Germania, del tutto proibito). In altre normative europee in materia di regolamentazione finanziaria sono state inserite soglie molto più stringenti, quasi tre volte inferiori alla soglia proposta dal nostro MEF.
Ciò detto, bisogna essere da una parte intellettualmente onesti e riconoscere al MEF la necessità di fare riferimento al disegno della “TTF” uscito dalle aule parlamentari (anche se lo schema proposto dell’esecutivo a fine 2012 ne aveva probabilmente il pieno avvallo).
Dall’altra parte non si può sorvolare sull’impermeabilità del ministero alle proposte migliorative del disegno dell’imposta, al silenzio assordante di fronte agli inviti ad un confronto trasparente sul tema. Nel corso di quest’anno il Ministero ha lanciato diverse consultazioni “pubbliche” online sulla TTF. Pubblicizzate con comunicati stampa seminascosti, aperte per pochi giorni su contenuti estremamente tecnici e con un’analisi dei contributi pervenuti piuttosto sommaria .
Definirle “pubbliche” è ricorrere più che a un eufemismo. L’ultima nell’ordine del tempo è stata la consultazione aperta poco dopo ferragosto, quand’era viva la speranza che il “pubblico” si godesse le meritate e spesso brevi vacanze.
Oggetto della consultazione erano le modifiche al decreto ministeriale di febbraio, che entreranno in vigore il 5 ottobre. Ora che il decreto modificato è stato reso pubblico, si evince come le modifiche (tassazione della nuda proprietà dei titoli, specifiche sul calcolo del valore del sottostante dei derivati, esclusione dei derivati sui dividendi, ecc.) coincidano di fatto con le proposte ministeriali già rese pubbliche dallo stesso MEF in un documento pubblicato sul sito del Dipartimento Finanze a inizio di Agosto. Il contributo di ZeroZeroCinque di cui Greenreport ha parlato in un recente articolo sono – superfluo dirlo – finite nel dimenticatoio senza contraddittorio alcuno.
Ci si viene da chiedere che senso abbia introdurre una normativa con così tante lacune che potrebbe avere un effetto boomerang rispetto agli obiettivi e alle ragioni principali per cui una tassa sulle transazioni finanziarie dovrebbe essere implementata.
Inoltre, uno schema di tassa accurato, bilanciato, difficilmente eludibile (e apprezzato dalla campagna ZeroZeroCinque) esiste, e il MEF ne è perfettamente a conoscenza. E’ oggetto della proposta di direttiva del commissario europeo alla fiscalità Algirdas Semeta, un testo intorno al quale dalla scorsa primavera sono in vigore i negoziati per implementare una TTF sotto la procedura di cooperazione rafforzata. Sfumata l’unanimità in sede di Consiglio Europeo nel 2012 per i veti di alcuni stati membri (il Regno Unito su tutti), 11 Paesi dell’Unione Europea tra cui l’Italia hanno ricevuto l’autorizzazione dallo stesso Consiglio a procedere con l’implementazione di una TTF su scala regionale. I negoziati sono ardui e hanno visto un rallentamento estivo in vista delle elezioni tedesche ma sono destinati a riprendere con maggior vigore dalla fine di Ottobre.
Anche sul posizionamento italiano nel negoziato il nostro Ministero sta mantenendo un profilo bassissimo. L’unica perplessità palesata dal ministro Saccomanni riguarda l’inclusione dei titoli di stato nella base imponibile cui l’Italia si oppone con vigore per paura delle ripercussioni sul proprio debito sovrano. Oltre a questo, il silenzio. Su un tema – ricordiamo – che oltre il 60% dei cittadini europei dichiara di considerare cruciale, e una misura che l’80% degli europei approva.
