Ma non possiamo più rimandare le azioni necessarie per ridurre l'impronta umana sul pianeta
Da debitori a creditori ecologici, ancora si può!
Persino lo stile di vita del “cinese medio” non è più sostenibile
[30 Agosto 2013]
Da debitori a creditori ecologici, ancora si può, ma la strada è assai in salita e il vento ancora non gira dalla parte giusta. Molti di voi avranno letto il 20 agosto scorso (e puntualmente anche le pagine di “Greenreport” ne hanno dato conto) la significativa notizia che l’umanità, intorno a quella data, avrebbe esaurito il budget naturale di risorse naturali disponibili per quest’anno e sta quindi vivendo in una situazione di sorpasso, di sovrasfruttamento rispetto alle capacità rigenerative dei sistemi naturali che ci supportano.
I dati, su quello che l’abile intuizione dell’economista Andrew Simms del noto think tank britannico New Economics Foundation (NEF – vedasi www.neweconomics.org) ha definito l’Earth Overshoot Day, provengono da un altro famoso think tank , questa volta statunitense, del Global Footprint Network (www.footprintnetwork.org), il centro di ricerca internazionale sulla sostenibilità che lavora per far si che il concetto di limite ecologico venga considerato come elemento centrale nei processi decisionali, grazie all’utilizzo di indicatori come l’Impronta Ecologica (uno strumento di gestione delle risorse che misura quanta natura abbiamo, quante ne usiamo e chi usa cosa e del quale abbiamo più volte parlato nelle pagine di questa rubrica).
L’Earth Overshoot Day può essere definito come la data in cui il consumo di risorse naturali da parte dell’umanità inizia a superare la produzione che i sistemi naturali della nostra Terra sono in grado di mettere a disposizione globalmente nell’arco dell’anno. Il Global Footprint Network tenta di analizzare la domanda dell’umanità di risorse ecologiche del pianeta (come ad esempio la produzione di cibo, le materie prime, l’assorbimento di anidride carbonica) — in altre parole l’Impronta ecologica dell’umanità (Ecological Footprint) — rispetto alla capacità naturale di ricostituire quelle risorse e di assorbire i rifiuti prodotti. I dati del Global Footprint Network mostrano che in poco più di otto mesi, abbiamo usato una quantità di materie prime naturali pari a quella che la biosfera del pianeta rigenera in un anno.
Ci troviamo quindi in una situazione nella quale continuiamo ad accumulare un deficit ecologico che deriva anche dagli anni precedenti e che ormai ci fa intaccare sempre di più il capitale della natura del nostro pianeta e non i suoi “interessi” e ci troviamo perciò ad esaurire le “scorte” di pesci, legno, prodotti agricoli e altre risorse, e accumuliamo rifiuti, come l’anidride carbonica in atmosfera e negli oceani. Al crescere del nostro livello di consumo l’interesse che stiamo pagando su questo sempre più grande debito ecologico – le foreste che si riducono, la perdita di biodiversità, il collasso della pesca, la scarsità di cibo, la modificazione dei cicli idrici, la produttività dei terreni degradati e l’accumulo di anidride carbonica nella nostra atmosfera e negli oceani – non solo grava sull’ambiente ma mina ovviamente anche le nostre economie. Il cambiamento climatico – che è provocato dall’emissione di gas serra ad un tasso più veloce di quanto possano essere assorbiti da foreste e oceani – appare come il più diffuso impatto dovuto al sovrasfruttamento ecologico.
Il Global Footprint Network che collabora dal 2000, alla realizzazione del rapporto biennale mondiale del WWF “Living Planet Report” (il prossimo è previsto per l’autunno del 2014) ci ricorda che nel 1961, l’umanità usava solo circa due terzi delle risorse ecologiche messe a disposizione dalla Terra. Allora, la maggior parte dei paesi aveva ancora riserve ecologiche. Nei primi anni Settanta del secolo scorso l’aumento delle emissioni di carbonio e la domanda umana di risorse cominciarono a superare ciò che il pianeta poteva metterci a disposizione in maniera rinnovabile. Ci siamo quindi spostati in una situazione di overshoot ecologico. L’overshoot ecologico è stato ben illustrato, già nel 1980 da William Catton nel suo volume “Overshoot: The Ecological Basis of Revolutionary Changes”, edito da University of Illinois Press ed è oggetto di tantissime analisi e ricerche nel campo della Sustainability Science.
Oggi i dati del Global Footprint Network ci dimostrano che l’umanità, rispetto ai calcoli che sono alla base dell’indicatore dell’impronta ecologica, sta utilizzando le risorse ecologiche e i servizi naturali ad un tasso pari alla produttività di un pianeta e mezzo. Siamo sulla rotta, sempre seguendo le previsioni degli scenari BAU (Business as Usual, ossia se non cambia nulla) previsti dai calcoli dell’impronta ecologica, di aver bisogno delle risorse di due pianeti prima della metà del secolo.
La comunità scientifica che studia i cambiamenti globali e la scienza della sostenibilità sta, da tempo, sottolineando le ricerche sulla appropriazione umana della produttività primaria netta – Human Appropriation of Net Primary Production (HANPP) – che sta diventando un ulteriore utilissimo indicatore per verificare l’insostenibilità dei nostri modelli di sviluppo socio economico attualmente perseguiti. La produttività primaria di un sistema ecologico, di una comunità o di una parte di essi viene definita come la velocità alla quale l’energia raggiante solare viene trasformata dall’attività fotosintetica o chemiosintetica degli organismi produttori in sostanze organiche che costituiscono la base energetica per gli organismi viventi. La produttività netta comprende la materia organica che viene utilizzata dagli organismi produttori al netto di quella che viene utilizzata dagli stessi, per consentire loro di produrla.
Lo studio pionieristico in questo campo è quello dei grandi ecologi della Stanford University Peter Vitousek, Pamela Matson, Paul e Anne Ehrlich pubblicato nel 1986 dalla prestigiosa rivista “Bioscience” dal titolo “Human Appropriation of the Products of Photosynthesis”. I primi calcoli di allora dimostravano una notevole appropriazione del prodotto dei processi di fotosintesi nella biosfera, quindi della base fondamentale dell’energia disponibile per tutta la vita sul pianeta, da parte della specie umana . I dati di allora indicavano in quasi il 40% della produzione primaria netta potenziale del pianeta ed il 25% di quella totale (comprendendo oceani e mari) la quota in qualche modo sottratta ed utilizzata dalla specie umana.
Numerose altre importanti ricerche si sono aggiunte a questa, con una significativa messa a punto, anche terminologica, dovuta al noto studioso Helmut Haberl nel 1997 con il lavoro apparso sulla nota rivista scientifica “Ambio” dell’Accademia delle Scienze svedese dal titolo “Human Appropriation of Net Primary Production as an Environmental Indicator: Implications for Sustainable Development” e dallo stesso Haberl ed altri sulle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences nel 2007 dal titolo “Quantifying and mapping the human appropriation of net primary production in earth’s terrestrial ecosystems”.
Proprio recentemente, nel giugno scorso, sulle pagine dei Proceedings della National Academy of the Sciences statunitense (i prestigiosi PNAS), gli studiosi Krausmann, Erb, Gingrich, lo stesso Haberl, Bondeau, Guabe, Lauk, Plutzar e Searchinger, hanno pubblicato un interessantssimo studio dal titolo “Global human appropriation of net primary production doubled in the 20th century” . In questo studio sono stati analizzati i trend dell’HANPP dal 1910 al 2005 , un periodo nel quale la popolazione umana è cresciuta quattro volte e l’output economico 17 volte. L’HANPP in questo periodo è raddoppiato, passando dalle 6.9 Gt (gigatonnellate) di carbonio per anno del 1910 ai 14.8 Gt nel 2005, passando quindi da un 13% al 25% della produzione primaria netta della vegetazione potenziale. Secondo gli scenari previsti in questo studio, benchè si siano registrati miglioramenti nell’efficienza dei processi di appropriazione della produttività primaria netta da parte umana, ove si dovesse optare per un largo utilizzo delle bioenergie potremo giungere ad un HANPP del 44% entro il 2050.
Come ricordano i ricercatori del Global Footprint Network, mentre la recessione globale avviatasi nel 2008 ha in qualche modo rallentato la domanda di risorse dell’umanità, il consumo in assoluto continua ad aumentare. Per evitare difficoltà economiche, il tema dei limiti delle risorse deve essere messo al centro del processo decisionale. L’andamento attuale della produzione di risorse non è già in grado di soddisfare le esigenze di una popolazione – in crescita – di oltre 7 miliardi di persone. Di queste circa due miliardi non hanno accesso alle risorse necessarie per soddisfare i loro bisogni di base.
Oggi, più dell’ 80% della popolazione mondiale vive in nazioni che utilizzano più di quanto i loro ecosistemi possono produrre in modo rinnovabile. Questi paesi “debitori ecologici” o prosciugano le loro risorse ecologiche o le prendono altrove.
Le nazioni ecologicamente debitrici utilizzano più di quello che hanno all’interno dei propri confini. I residenti della Svizzera consumano le risorse ecologiche di quattro Svizzere. Ci vorrebbero quattro Italie per sostenere l’Italia. I greci utilizzano risorse ecologiche pari a 3,1 volte il prodotto della loro nazione.
L’Impronta ecologica totale della Cina è la più grande del mondo, soprattutto a causa della sua popolazione, la maggiore rispetto a tutti gli altri paesi. L’Impronta ecologica cinese pro capite è però di gran lunga più piccola di quella delle nazioni europee o nord americane, anche se nell’arco degli ultimi sette anni ha superato quello che è mediamente disponibile per ogni persona a livello globale, come impronta ecologica. Se tutti gli umani dovessero vivere con lo stile di vita del “cinese medio”, ci vorrebbero 1,2 Terre a sostegno della popolazione mondiale. Le richieste pro capite degli altri paesi sugli ecosistemi del pianeta sono ancora più alte: se ognuno dovesse vivere come lo statunitense medio di oggi, ci vorrebbero quattro pianeti per sostenere la popolazione mondiale.
Non tutte le nazioni chiedono di più di quanto i loro ecosistemi siano in grado di fornire, ma anche le riserve di tali “creditori ecologici” come la Svezia si stanno riducendo nel corso del tempo. Non possiamo più sostenere un crescente divario economico tra ciò che la natura è in grado di fornire e quanto le nostre infrastrutture, economie e stili di vita richiedono.
È possibile ancora invertire la tendenza. Non possiamo più rimandare.