Ma non è tutto oro quel che luccica
Eco-etichette, è boom delle materie prime certificate: +41% nel 2012
[3 Febbraio 2014]
Secondo il rapporto State of Sustainability Initiatives (Ssi) Review «gli impegni di approvvigionamento del settore privato stanno portando ad crescita importante del mercato delle materie prime sostenibili». La Review Ssi, frutto della collaborazione tra numerosi e prestigiosi istituti di ricerca, fornisce un panorama delle tendenze del mercato e delle prestazioni dei 16 standard più diffusi per le 10 principali materie prime, come il Forest Stewardship Council, Organic e Rainforest Alliance, e rivela «una crescita a doppia e tripla cifra per la maggior parte di tutte le iniziative indagate. Sono stati studiati prodotti certificati per un valore commerciale stimato di 36,1 miliardi di dollari nel 2012 e un valore di mercato molto più alto».
Standard di sostenibilità volontari come Fairtrade, Rainforest Alliance e Otrganic, fino a poco tempo fa ritenuti strumenti adeguati soprattutto per mercati di nicchia, stanno trainando i mercati tradizionali. La Ssi sottolinea che «la tendenza verso l’integrazione degli standard di sostenibilità è la più forte tra iniziative settoriali più recenti che mirano esplicitamente ai mercati tradizionali». La Review documenta un trend stabile degli impegni per l’approvvigionamento sostenibile da parte di multinazionali come Dole, Chiquita, Coca Cola Company, Tetley, Twinings, Unilever, Hershey, Home Depot, Lowes, Starbucks, Nestlé, Ferrero, Mars, Ikea, Adidas ecc, ed evidenzia che «il crescente numero di companies che hanno assunto impegni per fonti sostenibili dimostra il ruolo fondamentale che il settore privato svolge nella crescita globale del mercato dei prodotti certificati da queste iniziative».
Le cifre del rapporto sono davvero impressionanti: «Il tasso medio annuo di crescita della produzione certificata in tutti i settori delle materie prime (esclusi i biocarburanti) nel 2012 è stato di un sensazionale 41%, superando la crescita del 2% nei corrispondenti mercati delle materie prime tradizionali. La crescita della produzione certificata è stata più forte nel settore dell’olio di palma, che ha registrato una crescita del 90% nel 2012. Gli altri principali settori sono stati lo zucchero (74%), il cacao (69%) e il cotone (55%)».
La ricerca Ssi mostra anche che la produzione certificata ha raggiunto una significativa penetrazione in alcuni importanti mercati delle materie prime: nel 2012 il caffè certificato ha raggiunto il 38% della produzione mondiale (nel 2008 era al 9%). Nel 2012 altre materie prime certificate con significative quote di mercato di produzione sostenibile comprendono il cacao (22%), l’olio di palma (15%) e il tè (12%).
Anche se la Ssi Review documenta una forte crescita sia della produzione che della vendita di commodities sostenibili, rivela anche un persistente eccesso di offerta di prodotti “standard-compliant”. Secondo uno degli autori del rapporto, Jason Potts, «in genere tra un terzo e la metà dell’attuale produzione certificata totale viene effettivamente venduta come conforme, il che pone una dicotomia per gli impatti sulla catena di fornitura. Il visibile accesso di prodotti standard-compliant significa che le companies beneficiano di una vasta scelta di opzioni nell’acquisto da fonti sostenibili. Ciò potrebbe però anche indicare una pressione al ribasso sui prezzi dei prodotti sostenibili a causa di un eccesso di offerta che potrebbe creare un impatto negativo sui piccoli produttori».
La Ssi Review prende in esame anche i sistemi di valutazione della conformità ambientale, le strutture di governance e la copertura dei criteri attraverso iniziative concorrenti, e ne viene fuori che «in generale, gli standard di sostenibilità volontari hanno avuto successo nello stabilire: una governance più inclusiva attraverso catene di approvvigionamento globali; il monitoraggio da parte di terzi come norma minima per la valutazione della conformità; il rispetto delle norme fondamentali del lavoro dell’ International Labour Organization come requisiti minimi per l’accesso al mercato»
Ma la cosa forse più importante è che la presenza crescente dell’etichettatura sostenibile ha effetti positivi sulle comunità rurali più povere, dato che un certo numero di standard sostenibili volontari stanno facendo sforzi congiunti per garantire che i piccoli produttori abbiano accesso ai mercati sostenibili, mentre fino ad ora sono dominati dai produttori certificati dei Paesi più avanzati.
Bill Vorley, dell’Iied, pone l’attenzione proprio sulle difficoltà a diffondere le “eco-etichette” nei Paesi in via di sviluppo: «La tendenza verso un aumento della concentrazione della produzione sostenibile nelle regioni più sviluppate è sconcertante, soprattutto se si considera che la povertà rappresenta uno dei principali problemi di sostenibilità della produzione di commodity più in generale».
E che non sia tutto oro quel che luccica la Ssi Review 2014 lo rivela anche sottolineando che negli ultimi 10 anni si è sviluppata una tendenza a lungo termine del calo di severità della copertura criteri di sostenibilità tra gli standard volontari e che «questa tendenza potrebbe aver consentito a più produttori ad entrare nelle filiere sostenibili, ma evidenzia anche la crescente importanza di rispondere alle domande relative agli impatti a livello di territorio creati dagli standard di sostenibilità volontari».
Nel complesso, la Ssi Review è ottimista e conclude che «le possibilità che gli standard volontari consentano un cambiamento trasformazionale positivo di tutti i principali mercati tradizionali sono ormai ben consolidate e continuano a crescere, ma il pieno sviluppo di tutti i loro vantaggi richiede una migliore comprensione degli impatti a livello di settore, così come una serie di misure politiche strategiche per sostenere l’assistenza tecnica ed l’internalizzazione dei costi a livello di mercato».