Contro l’ecomafia che non conosce lockdown, anche in Toscana è l’ora delle semplificazioni
Legambiente: «La Toscana resta stabile al 6° posto nella classifica nazionale, subito dopo le Regioni a tradizionale presenza mafiosa»
[10 Dicembre 2021]
Legambiente Toscana ha presentato oggi a Firenze il rapporto Ecomafia 2021 (Edizioni Ambiente), declinando in salsa regionale i dati raccolti dal Cigno verde in merito ai reati ambientali riferiti al 2020.
«La Toscana mantiene la posizione più alta tra le regioni del centro-nord e resta stabile al 6° posto nella classifica nazionale – dichiara Fausto Ferruzza, presidente Legambiente Toscana – subito dopo quelle a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Calabria, Sicilia, Puglia e Lazio. I numeri parlano chiaro: 2000 reati (corrispondenti al 5,7% sul totale dei reati accertati su scala nazionale), 1786 persone denunciate, 2 arresti e 490 sequestri. Livorno risulta la città più colpita della regione con 477 reati, segue Firenze con 279 e Arezzo con 149 reati».
Si tratta di numeri monstre, che anno dopo anno non accennano a diminuire neanche introducendo normative sempre più stringenti, come nel caso dei delitti contro l’ambiente introdotti nel Codice penale dalla legge 68 del 2015.
Se e quando i dati sull’ecomafia raccolti da Legambiente sono in calo, il trend sembra piuttosto dipendere da cause esogene. Nel 2020 ad esempio «la flessione più significativa, probabilmente riconducibile ai periodi di chiusura di molte attività produttive durante i lockdown, è quella relativa al ciclo dei rifiuti: 380 reati accertati nel 2020 (4,6% su territorio nazionale), 422 denunce e 121 sequestri».
È stato sufficiente attendere qualche mese, però, per veder spuntare l’ennesimo scandalo. «L’inchiesta Keu balzata agli onori della cronaca nell’aprile 2021, e che quindi verrà ufficialmente conteggiata nel prossimo rapporto – sottolineano da Legambiente – si è articolata tra le province di Firenze e Pisa, interessando il cuore del distretto conciario della Toscana. L’indagine prende il nome dall’inerte finale che si ottiene dal trattamento dei fanghi prodotti dagli scarti della concia delle pelli. In teoria, un “esempio” di economia circolare che, secondo le indagini condotte dal Comando Regione Carabinieri Forestale Toscana, con la collaborazione del Nucleo operativo ecologico di Firenze, nascondeva in realtà un’intensa attività di smaltimento illecito di rifiuti».
Fatti che restano appunto da accertare in tutta la loro complessità, come per le numerosissime inchieste sui rifiuti aperte negli ultimi anni in Toscana – si ricordi ad esempio l’inchiesta Demetra del 2016, la Dangerous trash del 2017, la Blu mais e la Stop stinks del 2020 – ma ancora lontanissime dall’approdare a sentenza definitiva.
Un problema non da poco: come più volte sottolineato su queste pagine, e come dimostra empiricamente l’evoluzione dei dati sull’ecomafia italiana nel corso degli anni, limitarsi ad incrementare il corpus normativo contro i delitti ambientali, affilando la sola arma della repressione, non sembra portare i risultati sperati; al massimo alimenta un rancoroso giustizialismo nel grande pubblico, che ad esempio finisce per vedere un potenziale eco-mafioso dietro ad ogni gestore di rifiuti, dubitando poi dell’intera infrastruttura.
Sarebbe assai più utile la certezza della pena, logica conseguenza di una certezza di diritti e doveri che il nostro corpus normativo incoerente e contraddittorio – soprattutto quando si parla d’ambiente – non sa però offrire. Con ricadute doppiamente nefaste: da un lato la nebulosità legislativa favorisce la malavita, dall’altro scoraggia chi vorrebbe operare nel pieno rispetto della legge ma non trova riferimenti adeguati per farlo.
Uno scenario scoraggiante, dove vale la pena tentare la carta delle semplificazioni, come peraltro suggerito anche da Legambiente.
Semplificazioni non a spot, ma tramite una revisione organica e coerente delle leggi ambientali ad oggi in vigore, possibilmente prima di introdurne di nuove a intorbidire ancora di più le acque.