Dilma e la sinistra rivincono in Brasile. Il futuro è qui e si chiama ancora Partido dos Trabalhadores
[27 Ottobre 2014]
Alle 20,35 di domenica tutti i portali internet del Brasile avevano una sola notizia: Dilma Vana Rousseff, del Partido dos Trabalhadores (PT), sarà per altri 4 anni la Presidente della República Federativa do Brasil con il 51,64% dei voti ottenuto dopo tre mesi di campagna elettorale segnata da un clima politico teso ed una tragedia che ne ha mutato il significato ed il percorso: la morte il 13 agosto dell’ex-governatore dello Stato di Pernambuco, Eduardo Campos, candidato alla presidenza dal Partido Socialista Brasileiroo (Psb). Al posto di Campos il Psb ha scelto la e ex ministro dell’ambiente del Brasile, la Verde ed evangelica Marina Silva che sembrava la vera alternativa alla Rousseff e che invece al primo turno è arrivata terza, mandando al ballottaggio Aécio Neves, il candidato del Partido da Social Democracia Brasileirao (Psdb, in realtà di centro-destra), subito appoggiato da personaggi come George Soros, convinti che Neves avrebbe privatizzato giganti statali come la Petrobrás e dalla Silva che, spinta dalla destra evangelica, ha avuto una netta svolta liberista e favorevole all’agro-industria.
La Rousseff ha affrontato il secondo turno forte del 41,59% dei voti contro il 33,5% di Neves, ma consapevole che le elezioni avevano consegnato al Brasile il Parlamento federale più a destra da quando è finita la dittatura fascista: zeppo di militari, anti-abortisti, omofobi, anti-ambientalisti e dove la lobby dei grandi fazenderos anti-indios è sempre più forte. E’ per questo che, molto probabilmente, la sinistra che ha affollato ed incendiato le piazze prima dei Mondiali di calcio, alla fine ha preferito scegliere la candidata del PT (e del Partido Comunista do Brasil) che aveva accusato di non aver saputo ridurre l’ingiustizia sociale e la corruzione nel suo Partito e di non avere politiche pubbliche e sociali all’altezza del Brasile più giusto e sostenibile promesso dal Partido dos Trabalhadores.
La campagna elettorale è stata segnata da un forte intervento della stampa scandalistica brasiliana, a cominciare dalla televisione Mas ed a finire con la rivista “Veja”, in favore del candidato del Psdb, che, a soli due giorni dal secondo turno, ha accusato direttamente l’ex-presidente Luiz Inácio Lula da Silva di essere al corrente di fondi neri della Petrobrás utilizzati dai familiari della Rousseff e dallo stesso PT. Notizie a quanto pare prive di fondamento che per ora sono costate alla rivista 500.000 real di multa ed una umiliante rettifica.
Lo scandalismo disperato della destra brasiliana non ha pagato e la Rousseff può festeggiare la sua riconferma dicendo ai suoi sostenitori impazziti di gioia e sollievo: «Uniamo le nostre mani per andare avanti e costruire il presente e il futuro. La bellezza, l’affetto, l’amore e l’appoggio che ho ricevuto in questa campagna mi danno l’energia per andare avanti con molta più dedizione. Molte grazie».
Tira un sospiro di sollievo anche Lula, che si è molto impegnato nel secondo turno mettendo a disposizione della Rousseff tutta la sua immensa popolarità e credibilità tra i brasiliani: «La companheira Dilma ha fatto una campagna tentando di politicizzare e discutere i temi nazional, per questo oggi ha guadagnato credibilità nel popolo brasiliano. Questo Paese capisce come valorizzare la democrazia».
Ma la nottata post-elettorale del Basile che resta a sinistra, di una delle grandi potenze economiche emergenti del pianeta nella quale si respira davvero il futuro già iniziato ed in marcia, con le sue rosse bandiere con la stella del PT, sembra molto più la piazza romana della CGIL che la Leopolda renziana di Firenze che, come ha detto ieri a “Gazebo” un operaio delle acciaierie di Terni, si distingueva più per la presenza, diciamo così, di “belle donne” che per essere un luogo di sinistra. Ed anche Aécio Neves somiglia molto più (sia per il conservatorismo sociale che per la concezione della giustizia) ad Amintore Fanfani, il nume tutelare politico della sinistra moderna e post-ideologica scelto della ministra Marie Elena Boschi, che al vetusto Enrico Berlinguer, ormai buono solo quando c’è da polemizzare con Beppe Grillo su “peste rossa” e dintorni, ma molto amato, insieme ad Antonio Gramsci, dal PT brasiliano e dalla piazza della CGIL.
La vera ragione della vittoria del PT è infatti obsoletamente di sinistra e l’ha postata direttamente sulla pagina Facebook della Rousseff un delusissimo ed avvelenato elettore di Neves: «Dovete essere sinceri: la maggioranza di quelli che hanno votato per Dilma dipendono dalla bolsa família (un integrazione per le famiglie a basso reddito, ndr), perché nessuno vuole lavorare. Fino a qui, il brasiliano è l’unico animale che va in piazza per protestare contro il governo, fischia la presidente davanti a tutti e vota per lei qualche mese dopo». Un’invettiva che ricorda molto quanto in questi giorni va dicendo il nostro premier Matteo Renzi sui “privilegi” dei lavoratori e dei pensionati, ma la bolsa família ricorda anche molto gli 80 euro del partito della sinistra neo-fanfaniana spiegato dalla Boschi da Fabio Fazio.
La realtà è sicuramente più complessa delle nostre facili analogie (delle quali i brasiliani non sanno niente) ed è il Partido dos Trabalhadores a cercare di tirare le somme ed a chiarire le ragioni di questo sofferto successo: «Lungo 12 anni, gli obiettivi di sviluppo, insieme a programmi sociali ad alto impatto, hanno trasformato il volto del Brasile. Col governo federale, il Pt ha fatto uscire 40 milioni di brasiliani dalla linea della povertà assoluta ed altri 30 milioni di persone sono diventate classe media. L’inflazione è stata mantenuta sotto controllo e, attraverso il Programa de Aceleração do Crescimento (Pac), coordinato da Dilma, quando era ministra della Casa Civil di Lula, sono stati fatti grandi investimenti infrastrutturali. Tra i quali le opere per deviare le acque del fiume São Francisco. Il governo petista ha anche fatto l’interconnessione energetica del Nordeste col Sudeste, ha costruito dighe idroelettriche ed ha recuperato la Petrobrás, oggi la maggior impresa petrolifera dell’America Latina e la sesta più grande del mondo. La Bolsa Família, il più grande programma di distribuzione del reddito del mondo, continua a dare benefici a più di 50 milioni di brasiliani e brasiliane. Programmi come Pronatec, Prouni e Ciência Sem Fronteira stanno rivoluzionando l’educazione in Brasile e, insieme alla politica delle quote per i neri, continuano ad integrare nel sistema educativo intere popolazioni che, prima, vivevano nell’invisibilità sociale».
Non sappiamo se quella che ha vinto in Brasile sia la sinistra “nostalgica” che era in piazza a Roma, ma le somiglia molto e sta costruendo il futuro di un mondo molto più grande e molto più giovane della vecchia Europa e molto più dinamico e assetato di giustizia sociale della giovanilistica Italia della Leopolda, che nelle strade in festa del Brasile sembrerebbe una cosa “borghese”, come si ostinano ancora a dire degli industriali e dei finanzieri nel Partido dos Trabalhadores degli ex guerriglieri e sindacalisti Dilma e Lula.