Agricoltura, l’Italia dovrà restituire fondi Ue per 70 milioni di euro: carenze nei controlli
[13 Novembre 2015]
Il Tribunale Ue conferma la decisione della Commissione in materia di Fondi in agricoltura riguardante l’Italia: il Bel paese deve restituire più di 70 milioni di euro a causa delle carenze nei controlli. Ha sostenuto spese irregolarmente e le ha poste a carico del Feaga (Fondo europeo agricolo di garanzia) e del Feasr (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), i fondi che dal 2007, hanno sostituito il Feoga (Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia).
Per la Commissione, la Repubblica italiana non ha messo in atto un sistema efficace per garantire effettivi controlli sui requisiti normativi per la gestione fissati dall’Ue, ad esempio in relazione al benessere degli animali. Non ha neanche messo in atto un sistema efficiente degli aiuti per la trasformazione degli agrumi tra il 2004 e il 2007. Anzi a seguito di un’indagine da parte dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode è emerso un meccanismo generalizzato di frode nel settore della trasformazione degli agrumi nella regione Calabria, oggetto anche di indagini penali da parte dell’Autorità giudiziaria italiana. E non ha messo in atto neppure efficienti parametri di riconoscimento dell’organismo pagatore della regione Basilicata (Arbea) per gli anni dal 2007 al 2009. Secondo la Commissione, Arbea presentava gravi carenze nella struttura organizzativa (rivelata ad esempio dalla mancanza di risorse umane), e nell’attività di controllo e pertanto non offriva garanzie di affidabilità circa i pagamenti effettuati.
L’Italia ha chiesto al Tribunale di annullare tale decisione, ma il Tribunale ha respinto il ricorso stabilendo che la Commissione, non è venuta meno al proprio obbligo di motivazione e non ha violato né le regole della Politica agricola comune (Pac) né i principi generali del diritto dell’Unione (proporzionalità, legalità, certezza del diritto, tutela del legittimo affidamento e leale cooperazione).
Del resto quando la Commissione, vuole dimostrare una violazione da parte di uno Stato membro, delle norme della Pac, non ha l’onere di provare puntualmente e specificamente l’insufficienza dei controlli effettuati dalle amministrazioni nazionali o l’irregolarità dei singoli dati da loro trasmessi. Perché è sufficiente che la Commissione offra elementi tali da far sorgere dubbi seri e ragionevoli in merito al sistema nazionale di controlli e verifiche. Viene applicato il “criterio di vicinanza (o disponibilità) della prova” – così definito dai giuristi nazionali – secondo il quale nessuno meglio dello Stato membro è in condizione di raccogliere e verificare i dati necessari alla liquidazione dei conti del Feaga. E’ quindi lo Stato membro a dover fornire la prova più circostanziata, puntuale ed esauriente circa l’effettività dei propri controlli e, se del caso, l’inesattezza delle affermazioni della Commissione.
E’ il regolamento del 2009 che stabilisce le modalità di applicazione del regime di pagamento unico previsto dal regolamento sui regimi di sostegno diretto nell’ambito della Pac e istituisce i regimi di sostegno a favore degli agricoltori. Esso ha introdotto il principio di condizionalità, secondo cui un agricoltore beneficiario di pagamenti diretti deve rispettare, da un lato, i requisiti normativi per la gestione stabiliti dalla legislazione dell’Unione e d’altro lato, le buone condizioni agronomiche e ambientali stabilite dagli Stati membri.
Il pagamento unico disaccoppiato è ormai imprescindibile dalla condizionalità, che subordina tutti i pagamenti alle imprese agricole al rispetto dei criteri di gestione obbligatoria e al mantenimento della terra in buone condizioni agronomiche e ambientali. In caso di mancato rispetto delle norme imposte dalla condizionalità si applica una riduzione degli aiuti diretti, fino alla loro completa revoca. In altre parole gli agricoltori che non rispettano i requisiti sono soggetti a riduzioni dei pagamenti o all’esclusione dal beneficio del sostegno diretto.