Come sono cambiati gli ecoreati a due anni dall’approvazione della legge italiana

Nel 2016 sono stati 1.215 i controlli (erano 4.718 dopo i primi 8 mesi) e 574 le infrazioni accertate, nel 70% dei casi reati contravvenzionali

[16 Maggio 2017]

«Con l’introduzione degli ecoreati nel Codice penale l’Italia ha dichiarato finalmente guerra agli ecocriminali». A distanza di due anni dall’approvazione della legge 68/2015, Legambiente insieme alle maggiori istituzioni nazionali è tornata a fare il punto sull’applicazione della normativa sui delitti ambientali, all’interno di un contesto più generale che vede – come recentemente riportato dal Sole 24 Ore – una situazione di grande sofferenza per la giustizia penale italiana, ingessata da arretrati monstre: a fine settembre 2016 risultavano infatti 1,24 milioni i procedimenti in corso nei tribunali, 268mila le cause ferme nelle Corti d’appello.

Qual è stato dunque l’impatto della legge sugli ecoreati? Secondo il dossier presentato oggi a Roma dal Cigno verde, analizzando l’azione repressiva svolta dalle forze di polizia (Arma dei carabinieri, Capitanerie di porto e Corpi forestali regionali), risulta che «nel 2016 a fronte di 1.215 controlli, la legge 68 ha consentito di sanzionare ben 574 ecoreati, più di uno e mezzo al giorno, denunciare 971 persone e 43 aziende, sequestrare 133 beni per un valore di circa 15 milioni di euro con l’emissione di 18 ordinanze di custodia cautelare».

È interessante notare anche come risultano suddivisi i citati 574 ecoreati: il 70% del totale è rappresentato da 401 reati contravvenzionali contestati grazie alla nuova legge, reati che rientrano nella seconda parte della legge 68. Ovvero quella che riporta «la previsione di un meccanismo di estinzione della pena per reati contravvenzionali che non hanno causato danno o pericolo di danno, a fronte del rispetto delle prescrizioni impartite dagli enti di controllo e del pagamento di un’ammenda». In questi casi a danno compiuto, gli “ecocriminali” che rimediano ottemperando alle prescrizioni ricevute e pagano una multa risultano ravveduti.

Più in generale, risulta positivo osservare come sia cambiato nel tempo – calando drasticamente – il numero dei controlli effettuati dalle forze dell’ordine a caccia di ecoreati. Secondo il dossier pubblicato sempre da Legambiente 8 mesi dopo l’entrata in vigore della legge  68/2015, allora i controlli effettuati risultavano 4.718, le infrazioni accertate 947, le denunce 1.185, i sequestri 229, il valore dei beni sequestrati pari a 23.925.046 euro. Com’è possibile spiegare un simile calo? Nel dossier pubblicato oggi Legambiente sottolinea che “non sono compresi i dati del Corpo forestale dello Stato”, d’altronde accorpato nel mentre ai Carabinieri. Il Cigno verde sottolinea poi come «l’efficacia della legge 68 non debba essere circoscritta solo alle performance registrate statisticamente sul fronte repressivo, dovendosi aggiungere la ancora più importante e utile azione preventiva, difficilissima da pesare statisticamente», ma è difficile credere che il crollo negli ecoreati accertati sia dovuto “all’efficacia preventiva” quando dovrebbe essere ormai assodato che neanche la pena di morte ha valido un effetto deterrente sulla proliferazione del crimine. È lecito sperare invece che le forze dell’ordine, dopo l’iniziale exploit nell’utilizzo della legge 68/2015, stiano comprendendo meglio come utilizzare il nuovo strumento legislativo, ma su questo punto solo il tempo potrà dare responsi più chiari.

Dovrebbe invece essere già chiaro che intervenire con nuove leggi all’interno di un quadro legislativo ridondante e confuso in fatto di ambiente, inasprendo le sanzioni senza portare parallelamente avanti un programma di semplificazione normativa, più che fermare gli ecocriminali può contribuire a ingessare le imprese sane. Una dimensione anche in questo caso “difficilissima da pesare statisticamente”, ma certo presente.

Se rimane certamente indispensabile punire i veri ecocriminali, celermente e con severità, è in primo luogo la necessità di leggi chiare e stabili a venire vista – di comune accordo da Legambiente e dagli industriali – come il prerequisito chiave per dare gambe all’economia verde, ma per un qualche misterioso motivo è proprio questa la “priorità” a finire costantemente in coda a tutto il resto.