Fesr, l’Italia dovrà restituire 79 milioni di euro di fondi Ue
[3 Dicembre 2015]
La Commissione europea ha ridotto di oltre 79 milioni di euro il contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) concesso all’Italia, perché il sistema di controllo sulla gestione dei fondi vigente nella Regione Puglia non è idoneo a garantire la legalità e l’efficienza della spesa comunitaria. Lo ribadisce Corte di Giustizia europea – con sentenza di oggi – che conferma la decisione del Tribunale Ue sulla questione.
Il Tribunale con sentenza del 2014 ha respinto il ricorso dell’Italia diretto all’annullamento della decisione della Commissione del 2009. La Commissione europea, infatti, ha ridotto di oltre 79 milioni di euro il contributo del Fesr concesso all’Italia e relativo al programma operativo regionale (Por) della Regione Puglia per il periodo dal 2000-2006, che prevedeva la messa a disposizione delle autorità italiane di 1.721.827.000 euro.
Nel 2007, nell’ambito di una missione di audit dei servizi della Direzione generale politica regionale, la Commissione ha sottolineato come il sistema di controllo sulla gestione dei fondi non sia idoneo a garantire la legalità e l’efficienza della spesa comunitaria. In particolare, ha evidenziato quattro aree critiche: l’indipendenza dell’autorità di pagamento dall’autorità di gestione; il numero e la qualità dei controlli di primo livello tanto dell’autorità di gestione quanto dell’autorità di pagamento; il numero e la qualità dei controlli di secondo livello; l’effettiva attuazione delle revoche e dei rimborsi conseguenti al rilievo di irregolarità in sede di controllo.
Quindi la Commissione ha sospeso i pagamenti del Fesr intermedi concedendo all’Italia un termine di tre mesi per effettuare i controlli e le correzioni necessarie a garantire che solo le spese ammissibili fossero coperte dal contributo. Ma l’Italia non ha adempiuto alle prescrizioni. Per cui è stata elaborata una formale decisione di riduzione dei contributi finanziari del Fesr concessi nel quadro del Por Puglia per il periodo 2000-2006, per un totale di riduzione del contributo circa di 79 milioni di euro.
Così l’Italia ha chiesto l’annullamento di tale decisione al Tribunale e poi alla Corte UE sostenendo che la Commissione, è venuta meno al proprio obbligo di motivazione e ha violato le regole della Politica agricola comune (Pac). Cosa smentita da entrambe i collegi.
Ma per la giurisprudenza dell’Unione vige il principio, più volte espresso in materia di Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga), per cui la Commissione, che intende dimostrare una violazione, da parte di uno Stato membro, delle norme della Politica agricola comune (Pac), non ha l’obbligo di provare puntualmente e specificamente l’insufficienza dei controlli effettuati dalle amministrazioni nazionali o l’irregolarità dei singoli dati da loro trasmessi. E’ sufficiente che la Commissione offra elementi tali da far sorgere dubbi seri e ragionevoli in merito al sistema nazionale di controlli e verifiche. Viene applicato il “criterio di vicinanza (o disponibilità) della prova” – così definito dai giuristi nazionali – secondo il quale nessuno meglio dello Stato membro è in condizione di raccogliere e verificare i dati necessari alla liquidazione dei conti del Feaga. Sarà dunque lo Stato membro a dover dare la prova più circostanziata, puntuale ed esauriente sull’effettività dei propri controlli e, se del caso, sull’inesattezza delle affermazioni della Commissione.
Secondo la Corte gli stessi principi si applicano, mutatis mutandis, anche al Fesr.
Il Fesr ha come obiettivo quello di contribuire al potenziamento della coesione economica e sociale, attraverso la correzione dei principali squilibri e lo sviluppo delle regioni, e contribuisce alla protezione dell’ambiente.