Ecco da dove vengono le armi che l’Italia manderà in Iraq
Sono le stesse armi che abbiamo dato in Libia ai ribelli anti-Gheddafi?
[25 Agosto 2014]
Alle associazioni pacifiste non è piaciuta la decisione del governo Renzi di inviare armi ai peshmerga kurdi in Iraq. In un comunicato l’Ong Un ponte per… scrive: «Scherzando, i nostri partner locali ci dicevano che il governo italiano farebbe meglio a trasferire i vecchi armamenti in disuso allo Stato Islamico, così se si inceppano risparmiano qualche vittima. Ben altro chiedono in questo momento coloro che in Iraq sono più attenti alla salvaguardia dei diritti umani: beni alimentari, acqua, interventi internazionali focalizzati alla protezione di popolazioni a rischio di genocidio, e ponti aerei per portare in zone sicure le minoranze ancora assediate nelle montagne di Sinjar e in altre zone del governatorato di Mosul. Certamente un ponte aereo di C-130 dell’Esercito Italiano non era necessario per portare a Erbil acqua e biscotti facilmente acquistabili in loco, che appaiono quindi strumentali a giustificare la successiva distribuzione dei kalashnikov. Questa scelta non chiarisce chi svolgerà il lavoro diplomatico per sostenere il dialogo nazionale con i politici iracheni e kurdi, che coinvolga tutti gli attori regionali a partire dall’Iran, e il lavoro di polizia internazionale per fermare traffico di armi e finanziamenti allo Stato Islamico. Né è chiaro al momento chi si adopererà per costruire una forza di interposizione Onu all’altezza dello slogan “Responsabilità di Proteggere”, riferito alla popolazione civile, che finora è stato usato dalla Nato come paravento di operazioni di guerra».
La rete italiana per il disarmo dice: «ll fatto che siano avvenuti in Parlamento i passaggi formali di copertura politica con una consultazione delle Camere, seppur solo in Commissione, rende ai nostri occhi ancor più grave e preoccupante la decisione politica assunta: per la prima volta in trent’anni l’Italia decide di inviare armi ad un paese in conflitto e lo giustifica sulla base della richiesta del governo locale e del via libera da parte dell’Ue. Si tratta – come spiegato dal Min. Pinotti – in gran parte di armi in disuso o di armi sequestrate a trafficanti che avrebbero dovuto essere distrutte. Si immettono così sulla piazza armi facili da smerciare e possono alimentare il mercato illegale: e questo in una regione dove già la gran parte delle armi proviene da traffici illeciti».
Ma da dove vengono le armi che il governo italiano invierà ai Kurdi irakeni? Lo spiega Giorgio Beretta, dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia: «Ogni invio di armi nella regione va assolutamente impedito –– ancor più se il governo intende inviare ai militari curdi delle armi in disuso per svuotare i magazzini delle nostre aziende armiere o peggio ancora quelle armi di fabbricazione sovietica sequestrate al trafficante Zhukov e detenute per anni nelle riservette dell’isola sarda della Maddalena. Quelle armi, come prevede una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 mai resa operativa, vanno distrutte: chiediamo perciò che venga subito aperta un’inchiesta parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi apponendo da parte dell’allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di stato».
Quindi si tratterebbe dei container carichi di armi che nel maggio 2011 furono scaricati alla Maddalena e che contenevano un colossale arsenale di missili, razzi, munizioni e kalashnikov sequestrato nel 1994 al cargo Jadran Express, bloccato nel canale di Otranto nell’ambito dell’embargo Onu alla ex-Yugoslavia. Armi che erano state inizialmente stoccate a Taranto e nell’agosto del 1999 risequestrate dalla Divisione Investigativa Antimafia e poi per il processo del 2001 a Torino contro i trafficanti. Alla fine l’arsenale era stato portato nell’isola-bunker di Santo Stefano, nella rete di gallerie di Caverna di Guardia del Moro, fino al 2008 sito della base della Us Navy e dei suoi sommergibili nucleari ed oggi deposito di armi e munizioni della Marina italiana.
Armi che, secondo un ordine della Magistratura del 2006, avrebbero dovuto essere distrutte, cosa che né i governi di centro-destra, né di centro-sinistra hanno fatto. Nel 2009 un decreto legge “ad hoc” avrebbe dovuto giustificare post factum la mancata distruzione delle armi e permettere così al governo di impossessarsi di armi sottoposte a sequestro giudiziario, ma non è mai stato trasformato in legge e quindi è decaduto.
Nel luglio 2011 la Rete italiana per il disarmo e la Tavola della Pace scrissero direttamente al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendogli «Perché il segreto di Stato deve servire per nascondere i traffici di armi?». Infatti nel giugno 2011 Lo stato maggiore della Marina Militare aveva laconicamente comunicato che «La destinazione finale delle armi confiscate e custodite nelle riservette di Santo Stefano è assoggettata al vincolo del segreto di Stato», poche righe che bloccavano l’inchiesta avviata dalla procura della Repubblica di Tempio Pausania sull’arsenale sequestrato a Zhukov e che, su ordine del Tribunale di Torino, avrebbero dovuto esser distrutto. Già allora le due associazioni pacifiste sottolineavano che si trattava di «Una problematica che continua a permanere anche oggi poiché l’Italia non possiede una legislazione specifica su trafficanti e broker di armi, pur esistendo dal 2003 una Posizione Comune dell’Unione Europea in merito che obbligherebbe il nostro paese ad un adeguamento legislativo specifico» e rivelavano che «Si tratta di armamenti che – stando ad accreditate fonti di stampa nazionale e internazionale – nei mesi scorsi sarebbero stati consegnati dalla Marina Militare all’Esercito facendole sbarcare nel Lazio per essere poi consegnati, contravvenendo all’embargo di armamenti decretato dalla Risoluzione delle Nazioni Unite, alle forze sostenitrici del Consiglio Nazionale di Transizione libico», cioè le milizie anti-Gheddafi che negli anni successivi hanno ridotto la Libia in uno Stato fantasma in ostaggio alle bande islamiste e tribali.
Ma non è finita: nel marzo 2011 la Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace avevano denunciato: «E’ accertato. Il governo Berlusconi nel 2009 ha autorizzato l’invio a Gheddafi di oltre 11mila tra pistole e fucili semiautomatici di alta precisione e di tipo quasi militare della ditta Beretta decidendo poi di non segnalarlo all’Unione europea». Le due organizzazioni avevano ottenuto i documenti di esportazione e presa in carico da parte dei funzionari del regime di Gheddafi delle armi transitate per Malta (per un valore di oltre 79 milioni di euro), e spiegavano: « Si tratta di 7.500 pistole semiautomatiche modello Beretta PX4 Storm cal. 9×19, di 1.900 carabine semiautomatiche modello Beretta CX4 Storm cal. 9×19 e di 1.800 fucili Benelli modo M4 cal.12 sempre della ditta Beretta esportate dall’Italia via Malta. Oltre 11mila tra carabine, fucili e pistole del valore di quasi otto milioni di euro, tutti sistemi d’arma semiautomatici di alta precisione e talune di tipo quasi militare, ma autorizzate come “armi da difesa”, sono stati esportati nel 2009 con beneplacito del governo Berlusconi dalla Fabbrica d’armi Beretta al colonnello Gheddafi. Il fatto non sarebbe mai venuto alla luce se non ci fosse stata la nostra indagine su documenti resi pubblici dal governo maltese a seguito di discrepanze nei rapporti europei».
Era stato per primo Unimondo a segnalare che «I Rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari certificano che nel biennio 2008-2009 l’Italia è stata il maggior esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi con autorizzazioni del valore di oltre 205 milioni di euro e che nel solo 2010 le industrie militari italiane hanno inviato al rais libico sistemi militari per oltre 100 milioni di euro di armamenti tra cui “bombe, siluri e razzi».
Insomma l’Italia ha fatto in Libia quello che gli occidentali e le monarchie assolute del Golfo hanno fatto in Siria ed iraq: abbiamo prima armato governi dittatoriali “amici” e poi i loro oppositori, spacciando per combattenti democratici i tagliagole fascisti dello Stato Islamico o delle bande salafite Libiche. Ora, per fermare gli islamisti che abbiamo armato, diamo armi che dovrebbero essere state distrutte ai Kurdi perché blocchino gli assassini integralisti sunniti che abbiamo contribuito a scatenare in funzione anti-russa ed anti-iraniana… Il risultato sarà probabilmente un Kurdistan indipendente, un Iraq spezzato lungo linee confessionali (sunniti da una parte e sciiti dall’altra) con le minoranze religiose (cristiani, yazidi, baha’i, ecc) ed etniche (turcomanni, assiri, shabak, Mandei…) che continueranno a subire attacchi e vessazioni.
Il colonialismo, il neocolonialismo e le guerre neoconservatrici ci stanno presentando il conto ed ha la terribile faccia coperta dei macellai del Califfato Islamico… Ma né l’Italia né il resto dell’Occidente sembrano capire cosa sta succedendo e due destre, quella “democratica-liberista” occidentale e quella fascista-integralista sunnita continuano a scontrarsi e ad allearsi in uno strano e tagico gioco per il controllo di risorse e cervelli, una guerra fratricida che sembra non avere più alternative politiche e civili per la scomparsa e l’afonia della Sinistra, sconfitta nel mondo arabo e in Europa.
Aveva ragione Francisco Goya: «Il sonno della ragione genera mostri»