L’accordo chiuso grazie alla regia Rossi-Calenda, che esprimono «soddisfazione». Con cautela
A Piombino rinasce il sogno dell’acciaio: c’è la firma di Jindal sull’ex Lucchini
Ora si attende il piano industriale. Sapendo che non appena riprenderà la produzione siderurgica ci saranno anche nuovi (molti) rifiuti da gestire secondo logica di sostenibilità
[18 Maggio 2018]
Al termine di una lunga e complessa trattativa (il preaccordo risale ai primi di marzo) si è concluso ieri sera il passaggio delle acciaierie di Piombino dal Gruppo Cevital al Gruppo indiano Jindal South West: finisce così la mai sbocciata era algerina per l’ex Lucchini, e si spalancano le porte a uno dei più importanti player nell’industria siderurgica a livello globale, che con l’investimento toscano ottiene per la prima volta un presidio in Europa.
Il ministro Carlo Calenda e il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi – i primi registi dell’operazione – esprimono con una nota congiunta «soddisfazione per la positiva conclusione di una vicenda che metteva a rischio uno dei più importanti poli siderurgici italiani ed il posto di lavoro di 2000 persone», ma non c’è spazio per i facili entusiasmi. «Mi chiedono – aggiunge infatti Rossi – se sono contento per Piombino. Certo rispondo: abbiamo lavorato davvero molto con Carlo Calenda, con i miei e i suoi collaboratori. Ma io sarò veramente contento solo il giorno in cui a Piombino si tornerà a colare acciaio, come ho promesso davanti ai lavoratori il primo maggio di diversi anni fa. Dunque si è appena agli inizi».
A questo punto istituzioni e sindacati dovranno adesso verificare il piano industriale, che attende ancora di essere ultimato: «Vediamo cosa ha in testa l’imprenditore e cosa vuole realizzare – commenta il segretario della Fiom di Livorno David Romagnani, definendo intanto come «positiva» la firma – Fintanto che non vedremo il piano industriale è azzardato fare qualsiasi ipotesi. Oggi le indiscrezioni parlavano di una forchetta che va da 1500 a 1800 lavoratori che potrebbero passare a Jindal una volta a regime. Anche qui si tratta di capire se con uno o due forni se con tre o quattro treni di laminazione».
Le variabili sul tavolo sono ancora molte insomma, ma alcune certezze sono già evidenti sotto il profilo ambientale. In primis è bene sottolineare come il rilancio occupazionale dell’intera Val di Cornia, sia attraverso la ripresa dell’attività siderurgica sia dell’auspicata diversificazione economica, rimanga strettamente legato alla necessità di bonificare il Sin (Sito d’interesse nazionale) di Piombino: si tratta di una superficie totale pari a circa 928,4 ettari a terra e altri 2015 a mare, perimetrata nel 2000 e dopo 18 anni bonificata solo per il 45% a terra e per il 4% per quanto riguarda la falda.
In secondo luogo, risulta evidente che se a Piombino si riprenderà a colare acciaio – come è augurio comune –, contestualmente ci saranno anche nuovi rifiuti speciali da gestire sul territorio. In quantità non indifferenti. Se Jindal accendesse un forno elettrico si dovrebbero importare 1 milione di tonnellate di rifiuti (rottame) che riprodurrebbero circa 300.000 ton/anno di rifiuti; se invece i forni elettrici fossero due, naturalmente anche i rifiuti derivanti dall’attività siderurgica raddoppierebbero, a quota
600.000 tonnellate/anno: si tratta, per dare un’idea più precisa, in 1 anno del quantitativo di rifiuti urbani che la città di Piombino produrrebbe in 30 anni. Rifiuti che in gran parte è possibile e necessario riciclare, e per il resto avviare a smaltimento.
Ecco dunque che il sindaco di Piombino Massimo Giuliani, esprimendo soddisfazione per una firma che «riaccende la speranza di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie», si sofferma nel sottolineare che le fasi del nuovo progetto Jsw dovranno collocarsi «in un quadro di vero sviluppo sostenibile». Anche il vicesindaco Ferrini, esprimendo un cauto ottimismo sulla questione, mette l’accento sulla necessità di lavorare per il nuovo Accordo di Programma per le cose che riguardano Jindal e per quelle legate alla diversificazione. Magari imparando dalle lezioni del passato, visto che i rifiuti legati alla produzione siderurgica sono già rimasti fuori dall’ormai vecchio Accordo di programma del 2014.