Presentato il progetto di Tenaris, Edison e Snam per l’impianto di Dalmine

Acciaio, la svolta dell’idrogeno verde sbarca anche in Italia

Perché il settore sia sempre più sostenibile è necessario però che non ci si dimentichi degli scarti di produzione, in un’ottica realmente circolare

[12 Gennaio 2021]

Dopo l’Austria anche l’Italia avrà la sua acciaieria a idrogeno verde. O almeno questo è ciò che prevede l’ambiziosa lettera di intenti siglata da Tenaris, Edison e Snam per l’acciaieria di Dalmine, che prevede appunto l’introduzione dell’idrogeno verde in alcuni processi produttivi. Certo, è un esperimento e non sono stati forniti i tempi di realizzazione, ma c’è un dato di fatto: l’acciaio non è al tramonto e la concorrenza a livello globale (sempre che sia possibile, di fronte a giganti come la Cina) è possibile impostarla solo sul piano della sostenibilità, l’unico percorribile anche dal punto di vista ambientale.

Non a caso anche Legambiente si è già espressa sull’impiego dell’idrogeno in ambito siderurgico sostenendo che “pensare che in un futuro non troppo lontano l’industria dell’acciaio possa essere ancora dominata dal ciclo integrale del carbone è del tutto miope: anche per Taranto è tempo di orientarsi verso modelli produttivi industriali sostenibili, in linea con gli obiettivi europei”. Dunque il vento è in poppa, e sarà importante verificare come procederanno le intenzioni di Tenaris, Edison e Snam.

Ma di cosa si sta parlando in sostanza? E perché “idrogeno verde” e non semplicemente idrogeno? Fin dalla visione di Rifkin sul futuro ad idrogeno quale panacea contro tutti i mali della produzione di energia, è sempre stato importante esplicitare i termini del dibattito: l’idrogeno non è una fonte energetica alternativa, ma un vettore. Questo significa che se lo si produce in modo sostenibile, attraverso cioè fonti rinnovabili, diventa appunto “verde”, contrariamente a quanto accadrebbe se lo si producesse con le fonti fossili.

Detto questo, ecco il progetto nel dettaglio: la generazione di idrogeno e ossigeno viene prevista tramite un elettrolizzatore da circa 20 MW da installare presso lo stabilimento di Dalmine e all’adattamento del processo produttivo dell’acciaio mediante l’utilizzo di idrogeno verde in sostituzione al gas naturale. L’iniziativa potrà inoltre includere la realizzazione di un sito di stoccaggio per l’accumulo di idrogeno ad alta pressione e l’utilizzo dell’ossigeno, prodotto localmente tramite elettrolisi, all’interno del processo fusorio. Lo sviluppo del progetto ridurrebbe in modo significativo le emissioni di CO2 legate alla produzione dell’acciaio. Perché questo è il punto: l’idrogeno non produce CO2.

“Il progetto ‘Dalmine Zero Emissions’ – spiega Michele Della Briotta, presidente Tenaris Europa e ad Tenaris Dalmine – rappresenta la più recente delle iniziative realizzate da Tenaris in Italia per il miglioramento della propria impronta ambientale, dopo gli investimenti e i progetti per la tutela dell’aria, l’efficienza energetica, la riduzione dei consumi di materie prime, l’aumento del contenuto di materiale riciclato nei nostri prodotti, la valorizzazione e il riuso dei nostri sottoprodotti”.

Secondo Nicola Monti, ad di Edison, “l’energia rinnovabile prodotta dai nostri impianti e le soluzioni tecnologiche di cui disponiamo possono contribuire concretamente allo sviluppo di una nuova e importante filiera nazionale”; anche per l’ad di Snam – Marco Alverà – l’idrogeno verde “può rappresentare la soluzione ideale per decarbonizzare alcuni importanti settori industriali, in particolare per produrre nel lungo periodo acciaio a zero emissioni. L’accordo di oggi, che vede protagoniste tre aziende attive lungo l’intera catena del valore, è un primo passo per poter raggiungere questo importante obiettivo”.

Bene, bravi, ma in attesa di vedere come andrà a finire occorre sottolineare da subito che la sostenibilità di un processo siderurgico non si misura solo in termini di CO2. Sia che si parli di ciclo integrale sia di produzione di acciaio da forni elettrici. Nel 1999, ad esempio, veniva dichiarata (da parte della Lucchini di Piombino, quando colava acciaio da altoforno) una produzione annuale di scarti di circa 1,3 milioni di tonnellate su circa 2,5 milioni di produzione di acciaio. Anche con le più moderne tecnologie possibili, la circolarità del processo siderurgico rimane un punto centrale da affrontare: ad esempio, per ogni milione di tonnellate di acciaio prodotto da rottami tramite forno elettrico, si stima esitino dal processo altre 300mila tonnellate di rifiuti da gestire.

Ed è qui che si misura la sostenibilità complessiva della produzione dell’acciaio, nella gestione ottimale degli scarti, parte dei quali può essere avviata al riciclo (che, come ogni processo industriale, a sua volte genera altri scarti) e il resto deve poter essere smaltito in sicurezza all’interno delle discariche, secondo logica di sostenibilità e prossimità agli impianti.