Aiutiamoli a casa loro? È solo uno slogan: diminuisce il sostegno ai Paesi meno sviluppati

L’Onu chiede di rafforzare l’aiuto agli LCDs. Intanto in Libia e Medio Oriente è mattanza di bambini

[6 Febbraio 2018]

Secondo il rapporto “Selected Sustainable Development Trends in the Least Developed Countries 2018” dell’United Nations conference on trade and development (Unctad)  «Gli indicatori di sviluppo dei 47 Paesi meno sviluppati (least developed countries LDCs) sono orientati verso un calo» e per questo Paul Akiwumi, direttore della divisione Unctad Africa, LDCs e programmi speciali ha evidenziato che  «La comunità internazionale dovrebbe rafforzare il suo sostegno ai Paesi meno sviluppati, conformemente all’impegno preso di non lasciare nessuno da parte».

Insomma, nonostante una tiepida ripresa internazionale, lo slogan “aiutiamoli a casa loro” è un pannicello caldo sopra promesse non mantenute e i partner dello sviluppo non aiutano proprio i Paesi che ne hanno più bisogno a raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (Sdg)

Selcondo Akiwumi, »I livelli di crescita del Pil resteranno probabilmente inferiori non solo alla loro media per il periodo 2002-2008, ma anche ai loro livelli del 2010-2014. Le ineguaglianze tra LDCs e e gli altri Paesi in via di sviluppo rischiano di aggravarsi».

Il rapporto Unctad mette in evidenza che «La crescita media degli LCDs nel 2017 è stata appena del  5% e nel 2018 raggiungerà il 5,4%, un tasso inferiore all’obiettivo del 7% di crescita (primo target dell’obiettivo  numero  8 di sviluppo sostenibile)»  tassi di crescita che sembrerebbero altissimi rispetto a quelli asfittici dell’economia italiana – dove l’1% in più è un successo – ma che sono niente se si tiene conto che l’Italia è uno dei Paesi più ricchi del mondo mentre gli LCDs hanno economie poverissime per le quali qell’1% italiano rappresenterebbe un balzo in avanti inimmaginabile. Infatti, negli LCDs, una crescita superiore al 5% annuo non permetterà di raggiungere lo sviluppo economici, inclusivo e sostenibile di cui avrebbero bisogno e che ci siamo impegnati a favorire all’Onu.

L’Unctad dice che «Nel 2017, solo 5 Paesi (sui 45 LCDs  per i quali sono disponibili i dati) hanno registrato una crescita economica del 7% o più: Bangladesh (+7,1%), Gibuti (+7%), Etiopia (+8,5%), Myanmar (+7,2%) e  Népal (+7,5%)». Il rapporto dimostra che «Troppi LCDs rrestano tributari delle esportazioni dei prodotti di base. Benché i prezzi internazionali della maggioranza dei prodotti di base primari siano aumentati dalla fine del 2016, questa modesta ripresa non hsa affatto compensato il forte calo osservato dal 2011, in particolare nel caso del petrolio greggio e dei minerali e dei metalli». Insomma, la ripresa dei LCDs è drogata dall’aumento dei prezzi delle materie prime e dall’economia estrattiva neocolonialista, ma questo non produce nessuna vera trasformazione verso l’indipendenza e la resilienza economica.

Per l’Unctad, «Nel 2017, il gruppo LCDs dovrebbe registrare un deficit corrente di 50 miliardi di dollari, cioè il secondo deficit più elevato registrato finora, almeno in termini nominali. Questo contrasta con le cifre degli altri Paesi in via di sviluppo (extra LCDs), dell’insieme dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi sviluppati, che hanno registrato tutti delle eccedenze annue dei loro conti».

Le proiezioni per il 2018 prevedono che il deficit dei LCDs continuerà a crescere, aggravando le debolezze delle loro bileance dei pagamenti. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, nel 2017 solo un pugno di LCDs ha registrato delle eccedenze di bilancio e due di questi, l’Afghanistan e il Sud Sudan in piena guerra civile – solo perché beneficiano di importanti aiuti internazionali, così come l’Eritrea e la Guinea Bissau.

Tutti gli altri LCDs hanno registrato deficit di bilancio che vanno da un punto di Pil (Bangladesh e Népal) a oltre il 25% del Bhutan, della Guinea, della Liberia, del Mozambico e di Tuvalu.

Il rapporto Unctad precisa che «Gli impegni degli aiuti esterni specifici per gli LCDs hanno raggiunto i 43,2 miliardi di dollari, cioè solamente il 27% circa dell’aiuto netto per l’insieme dei Paesi in via di sviluppo. Questo rappresenta un aumento dello 0,5% dell’aiuto in termini reali di un anno sull’altro». Praticamente meno di quanto abbia eroso l’inflazione.

Akiwumi. conclude: «Questa tendenza rafforza i timori di un tetto agli aiuti ai Paesi meno sviluppati sulla scia della recessione globale. La nostra analisi richiede di passare all’azione. La comunità internazionale deve prestare maggiore attenzione agli impegni presi nei confronti dei Paesi meno sviluppati».

Intanto l’Unicef lancia un nuovo allarme fra i più poveri tra i poveri: «In questo buio mese di gennaio, i conflitti e le violenze in Medio Oriente e in Nord Africa hanno ancora una volta causato un duro colpo ai bambini. Sono stati uccisi in conflitti in corso, attacchi suicidi, o congelati a morte mentre fuggivano da zone di guerra attive.  E’ semplicemente inaccettabile che i bambini continuino a essere uccisi e feriti ogni giorno.  Solo nel mese di gennaio, l’escalation della violenza in Iraq, Libia, Stato di Palestina, Siria e Yemen ha causato la morte di almeno 83 bambini.  Questi bambini hanno pagato il prezzo più alto per le guerre di cui non hanno assolutamente alcuna responsabilità. Le loro vite sono state spezzate, le loro famiglie sono state spezzate dal dolore».

L’invasione della Turchia in Siria e l’intensificazione dei combattimenti hanno provocato la morte di  59 bambini nelle ultime quattro settimane, mentre il conflitto entra nell’ottavo anno.  Nello Yemen, l’Onu ha verificato l’uccisione di 16 bambini nei nuovi attacchi aerei sauditi e l’Unicef riceve Akiwumi segnalazioni di bambini uccisi e feriti ogni giorno mentre i combattimenti aumentano in tutto il Paese.

Intanto, nella Libia che vorrebberio farci credere “pacificata” l’Unicef denuncia che a Bengasi «un attacco suicida ha ucciso le vite di tre bambini. Altri tre sono morti mentre giocavano vicino ad ordigni inesplosi – un quarto bambino rimane in condizioni critiche dopo l’esplosione».

E il Medio Oriente delle guerre del petrolio è diventato un mattatoio di bambini: «Nella città vecchia di Mosul, un bambino è stato ucciso in una casa imprigionata. Un ragazzo è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in un villaggio vicino a Ramallah, nello stato della Palestina. In mezzo a una violenta tempesta invernale in Libano, 16 rifugiati, tra cui quattro bambini, si sono bloccati a morte mentre fuggivano dalla guerra nella vicina Siria. Molti altri bambini sono stati ricoverati in ospedale con sintomi di congelamento. «Non centinaia, ma milioni e milioni di bambini . dice l’Unicef –  in Medio Oriente e Nord Africa hanno vista rubata la loro infanzia, mutilati per la vita, traumatizzati, arrestati e detenuti, sfruttati, è impedito loro di andare a scuola e avere i servizi sanitari più essenziali; negato anche il diritto fondamentale di giocare.  Collettivamente, continuiamo a non fermare la guerra ai bambini. Non abbiamo alcuna giustificazione. Non abbiamo motivo di accettare questa nuova normalità. I bambini possono essere stati messi a tacere. Ma le loro voci continueranno ad essere ascoltate. Il loro messaggio è il nostro messaggio: La protezione dei bambini è fondamentale in tutte le circostanze, in linea con la legge di guerra.  Infrangere quella legge è un crimine orribile e mettere a repentaglio il futuro, e non solo per i bambini».