È necessario investire sui giovani adesso, prima che sia troppo tardi

Altro che Fertility day: per la demografia nel 2050 l’Italia sarà in crisi di vecchiaia

In pensione a 69,3 anni, e senza apporto migratorio anche la popolazione sarebbe in declino (-11,4%)

[2 Settembre 2016]

In genere materia semisconosciuta al pubblico dibattito nazionale, ai temi propri della demografia sono stati concessi poco più dei 15 minuti di celebrità con l’infausto lancio del Fertility day, previsto per il 22 settembre ma già sconfessato nei fatti dal premier Renzi: «Non sapevo niente di questa campagna, non l’ho neanche vista – ha dichiarato in un’intervista rilasciata ieri alla radio Rtl 102.5 – Se vuoi creare una società che scommetta sul futuro e torni a fare figli devi intervenire sulle cose strutturali. La questione demografica esiste, ma la vera questione è un ragionamento complessivo. Non conosco nessuno dei miei amici che fa un figlio perché vede un cartellone pubblicitario. Le persone fanno figli se possono finalmente avere un lavoro a tempo indeterminato, investire su un mutuo, avere l’asilo nido sotto casa. Questa è la vera campagna». Peccato che nessuno l’abbia ancora lanciata. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin – il cui dicastero ha in primo momento oscurato la campagna di comunicazione, appena lanciata – da par suo non ha migliorato la situazione ribattendo: «Ne faremo una nuova visto che quella che avevamo preparato non è piaciuta».

Per dare un’occhiata alle sorprese che la demografia ha in serbo per noi è forse più utile guardare al di là dell’hashtag del momento. Due studi, uno appena presentato all’European population conference in corso in Germania – come da tradizione nell’italico disinteresse generale – e l’altro lanciato dall’ong Population reference bureau aiutano a farsi un’idea più precisa del contesto demografico con il quale avremo tutti a che fare nel corso dei prossimi anni.

I numeri non sono definitivi – e non potrebbe essere altrimenti visto le complesse dinamiche in gioco –, e le differenze tra i numeri riportati nei due rapporti lo dimostrano. Secondo il Prb, la popolazione italiana nel 2030 e 2050 rimarrà stabile, ferma a 63,5 milioni di abitanti rispetto ai 60,6 attuali. All’European population conference il quadro della situazione – elaborato da autorevoli istituzioni come l’International institute for applied systems analysis (Iiasa) e dal Vienna institute of demography – sarà più dinamico. L’Italia passerà dai 60,8 milioni di abitanti del gennaio 2015 ai 66,9 milioni del 2050, un incremento del 10,1%. Dati che si ottengono però solo tenendo conto dell’apporto migratorio: senza, l’Italia del 2050 sarebbe in profondo declino demografico (-11,4%), arrivando a contare appena 53,9 milioni di abitanti.

Il che potrebbe forse dare una piccola mano all’ambiente, riducendo i consumi complessivi della nazione, ma sotto il profilo sociale sarebbe un disastro. Anche tenendo conto dell’arrivo di nuovi cittadini dall’estero, con un tasso di fertilità attualmente di molto inferiore a quello di sostituzione (1,37 figli per donna anziché due), l’età media del Paese passerà da 45,1 a 49,9 anni. Il rapporto tra le persone anziane (over65) e la popolazione attiva (20-64 anni) si ribalterà, con un rapporto di dipendenza che passerà dal 36,4% attuale al 67,2% nel 2050, uno dei peggiori al mondo. Per provare a mantenere equo l’assegno pensionistico, a metà secolo l’età della pensione dovrà essere innalzata a 69,3 anni in Italia (e sopra i 69 anni in tutti i Paesi analizzati dallo studio).

Il 2050 è solo apparentemente lontano. Per riflettere sulle conseguenze cui le attuali dinamiche demografiche ci stanno consegnando – come per ogni aspetto che riguarda lo sviluppo sostenibile – il tempo è adesso. Perderne di prezioso sprecandolo in campagne di propaganda come quella del Fertility day è sciocco, oltre che inutile. Valorizzare le scarse risorse che abbiamo, in questo caso i giovani, è il primo imperativo, e rimandare il problema (che si sta nel mentre accentuando) non farà che accrescerne l’urgenza.