Attraverso lo specchio Covid-19 e quel che Alice (l’Europa) vi trovò

Sommando i gap su innovazione, sanità e scuola, per l’Italia l’esigenza minima è definire un piano di maggiori investimenti da almeno 50 miliardi di euro annui, al fine di rafforzare il sistema socio economico e sanitario

[16 Aprile 2020]

Stiamo attraversando un viaggio tra due realtà, il prima e il dopo, il normale e ‘l’anormale’. Andando oltre lo specchio, verso cui forse non siamo andati per caso, le contraddizioni, le distorsioni socio-economiche e le diseguaglianze socio-tecnologiche si sono ingigantite, e rischiano di aggravarsi. Oltre lo specchio, stiamo pensando però anche all’impossibile, nel fase del ‘prima’: il ‘nuovo’ tipo di modello sociale da immaginare e inventare. Nei due lati dello specchio ci stiamo osservando, sperando che questo possa portare a buoni pensieri ed efficaci azioni.

Le categorie di ‘prima e dopo’, ‘normale e anormale’ possono tuttavia offuscare. Non c’è dicotomia, ma un continuum. La crisi era nel prima. Come tutte le crisi capitalistiche, difficilmente prevedibili nella tempistica, la crisi è nel prima, nel come l’economia ‘andava’, era gestita, nel come non abbiamo correttamente affrontato l’ultima crisi del 2009. La crisi Covid-19 è un po’ diversa, ma ha dei prodromi tra loro connessi, dal lato ambientale nei noti meccanismi di propagazione dei virus tra specie animali diverse, e dal lato economico un potenziale deficit di investimenti ‘sostenibili’. Lasciando alla ricerca inter/multi/trans disciplinare le analisi dei collegamenti tra fonte del virus e contagio, attraverso meccanismi ambientali e sociali (da interpretare e capire per non ricadere in futuro), soffermiamoci ora su semplici fatti macroeconomici e ragioniamo sui modelli e i patti sociali da creare e inventare.

Prima di buttarsi avanti, occorre chiedersi in modo chiaro ‘come’ siamo arrivati alla crisi, cioè se siamo arrivati ‘preparati’ come sistema, e se i costi che stiamo pagando avrebbero potuto essere minori con maggiori investimenti precauzionali, di ‘riduzione del rischio’.

Lo scienziato sociale deve modestamente giocare con i numeri, cercando però qualche visione negli stessi, per non farsi trascinare dalla mera contabilità delle cose. Prendiamo quindi i pilastri dello sviluppo economico e benessere: innovazione pubblica e privata in R&S, spesa sanitaria, spesa in education.

Sulla prima, vi è ancora speranza? Il gap tra intenzioni (3% del Pil) e realtà (2%) è 180 miliardi di euro annui in Europa. Il gap con la Corea del Sud, presa come frontiera, è circa 300 miliardi. Restringendo alle prime 4 economie dell’area euro, il maggiore investimento necessarioè tra 60 e 150 miliardi (per Italia tra 30 e 45 miliardi). Questi numeri possono già qualificare parte della spesa che è necessaria per affrontare crisi e post crisi: 1.5–2 trilioni di euro in Europa e Usa.

La spesa in R&S, investimenti pubblici e privati, dovrà però diventare fattore strutturale dal 2021 in poi, includendo il tema del digital divide, che è stato ‘svelato’, ce ne fosse stato bisogno.

Altri capitoli di spesa legati al benessere sono sanità e scuola. Usando il dato Eurostat di spesa generale del Governo sulla sanità, nel 2001 l’Europa spendeva il 6% del Pil (6.5% Germania, 7% Francia, 6% Italia); nel 2010, dopo un decennio di moderato sviluppo e subito dopo la recessione, il dato medio era 7.3% (7% Germania, 8% Francia 7.4% Italia). Un decennio 2000-2010 quindi di crescita economica e spesa pubblica in salita. Il dato del 2018, che segue la politica di austerità post 2010, vede però 7.1% per Europa e 7.2%, 8.1%, 6.8%, per gli altri Stati. L’Italia, Paese sotto osservazione finanziaria, osserva un calo di 0.6%[1], cioè una caduta di 11 miliardi di euro[2] in rapporto al Pil.

Ripetendo l’esercizio precedente per la scuola, il dato europeo di spesa/Pil del 2001 era 4.9% (Germania, Francia e Italia rispettivamente 4.1%, 5.6%, 4.4%). Nel 2011 si arriva al 5.2% (4.4%, 5.6%, 4.3%). Nel 2018,  Europa 4.7%, Germania 4.2%, Francia 5.1%, Italia 4%. L’Europa arretra leggermente in venti anni, gli altri paesi viaggiano per vie diverse, come accade spesso nel continente. L’Italia vede un taglio, su Pil, di 6 miliardi di euro, tornando sotto i livelli del 2001[3]. Gli aumenti degli investimenti in formazione dovrebbero includere gli investimenti per rafforzare smart-working, sicurezza sul lavoro, che saranno cruciali a dir poco.

I deficit di spesa/investimenti evidenziati sono stati quindi un prodromo della fragilità generale che i sistemi socio-economici ora stanno mettendo in luce, con ovvie eterogeneità regionali e locali, su cui occorre tuttavia riflettere. L’aumento degli investimenti serve per affrontare possibili altre crisi future, recessioni capitalistiche, disastri naturali purtroppo frequenti in Italia, o altre pandemie virali.

Sommando i gap su innovazione, sanità e scuola, per l’Italia l’esigenza minima è definire un piano programmato di breve medio ad un maggiore investimento di circa 50 miliardi di euro annui. In proporzioni minori, il decennio post-recessione vede comunque ridursi per l’Europa intera gli investimenti in sanità e scolarizzazione. Tendenza non in linea con lo sviluppo sostenibile ed inclusivo, ovvero il modello di crescita che il vecchio continente si è dato, almeno a parole.

Ai pilastri sopra analizzati si aggiungono altri pilastri di spesa sociale, ambientale, che qualificano ulteriormente in modo complementare un percorso di sviluppo[4]. Da notare come l’Italia si collochi nelle prime posizioni europee per quello che concerne gli indicatori di economia circolare e uso delle risorse naturali, come già osservato su greenreport. L’Europa può essere un attore globale che si pone come leader dello ‘sviluppo sostenibile’, proseguendo la strada tracciata da inizio anni 90. Il nuovo Green deal che obiettivi può porsi? Certamente può rilanciare la necessità di investire di più, con maggiore flessibilità di bilancio. Lo sviluppo economico è frenato da investimenti privati e pubblici carenti.

Si può concludere dicendo che la spesa macroeconomica è condizione necessaria ma non sufficiente. La spesa macroeconomica, di cui sta discutendo in queste ore, va chiaramente qualificata, tra spese di supporto alla crisi e spese di ristrutturazione del modello di sviluppo che vogliamo. Va integrata con interventi specifici (fiscalità di scopo), supportata da progressività fiscale e visione di lungo periodo nella gestione del debito, che lo Stato e l’Europa possono dare.

L’ultima seria riflessione è sul modello di società e sistema economico che vogliamo darci. La crisi Covid-19 ha messo in luce varie criticità. Ha chiaramente evidenziato il ruolo di Banche centrali[5] e Stato nel supportare l’economia. Se ce n’era ancora bisogno, ha rimarcato il ruolo degli attori centrali, che guidano i ‘mercati’, non in grado di gestire autonomamente le complessità sistemiche e i problemi ambientali e sanitari.

I modelli di società, i patti sociali, sono tuttavia vari e diversificati. Conosciamo i modelli scandinavo, anglosassone, francese, cinese, giapponese, tedesco, italiano etc., che si differenziano per ruolo dello Stato, peso della fiscalità e spesa pubblica, organizzazione del lavoro; tutti temi da ripensare e reinventare. Occorre che l’Italia e l’Europa scelgano chiaramente il modello, eventualmente imitando aspetti di altri, senza scimmiottare.

È certo il tempo di inoltrarsi verso nuove invenzioni tecnologiche e sociali, à la Jabberwocky, il poema che incontra Alice. Servono le lenti adatte per leggere nuovi linguaggi, ripensare e riorganizzare vite e lavoro. Tuttavia, molti degli elementi del modello italiano ed europeo li troviamo già nella conoscenza e nella storia che possediamo e negli obiettivi che abbiamo individuato, ma non ancora raggiunto.

[1] Su analisi di dettaglio regionale, con relative disparità, si vedano i due articoli recenti di Viesti (http://sbilanciamoci.info/autore/gianfranco-viesti/).

[2] Occorre riflettere sulla nuova possibilità offerta dal Mes o post Mes (il potenziale 2% di spesa sanitaria finanziata a tassi di interesse bassi), sempre posto che i maggiori bilanci pubblici necessari su innovazione, sanità e scuola devono trovare finanziamenti strutturali oltre la crisi, eventualmente finanziati da parte della Banca centrale europea con acquisti diretti dei bond. Si tratta di una opzione esplicitamente vietata dai Trattati europei che però, nel rispetto del diritto internazionale, possono essere sospesi.

[3] Per rendere pragmatico il dibattito sempre caotico sulle patrimoniali, si potrebbero pensare, in coerenza con la ratio di tali gettiti, interventi mirati con saldi rilevanti per i saldi macroeconomici (es. 500 milioni – 1 miliardo, fino a 2-3 miliardi ad esempio nei vari casi) a sostegno di obiettivi quali supporto a borse di studio e edilizia studentesca. I prossimi anni scolastici saranno particolarmente delicati; l’obiettivo è supportare quanto più gli studenti in condizioni di disagio per evitare abbandoni e criticità varie legate alla minore crescita attesa.

[4]Un riferimento statistico è Eurostat (General government expenditure by function (COFOG)).

[5]https://www.ilsole24ore.com/art/le-banche-centrali-stampano-moneta-battere-coronavirus-classifica-ADrQ2rJ

http://temi.repubblica.it/micromega-online/ue-appello-di-101-economisti-al-governo-non-firmate-quell-accordo/