Laura Boldrini snobba la Fiat: «La ripresa non può partire dal ribasso sui diritti»
[5 Luglio 2013]
Grazie a Laura Boldrini, stavolta alla Fiat non l’hanno mandata a dire: invitata dall’amministratore delegato dell’azienda Sergio Marchionne a visitare uno degli impianti dell’azienda, la presidente della Camera della Camera ha risposto picche causa «impegni istituzionali», facendo sottilmente notare che qualcosa non quadra in Fiat Spa. «Le vecchie ricette hanno fallito – sintetizza la Boldrini su Twitter – Per la competitività servono innovazione e ricerca, ma anche il dialogo sociale. Non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa del Paese».
«Il livello e l’impatto della crisi sono tali da imporre un progetto del tutto nuovo – precisa dunque la presidente nella sua lettera di risposta a Marchionne – una politica industriale che consenta una crescita reale, basata su modelli di sviluppo sostenibile tanto a livello economico, quanto sociale e ambientale». I modelli proposti dalla Fiat, come punta di diamante della maggior parte del sistema economico italiano, punta invece tutto sulla necessità di aumentare la produttività del lavoro – o meglio del lavoratore, bollato come scansafatiche –, quando a non essere efficiente è la produttività del capitale.
Il risultato è che in Fiat – presa come esempio di un modello pervasivo – i dirigenti si stracciano le vesti utilizzando come scusa la produttività, e nel mentre i conti dell’azienda volano. Così, i ricavi del Gruppo Fiat, secondo gli ultimi dati disponibili, «sono stati pari a circa 84 miliardi di euro, in aumento del 12%», ma le minacce di chiusura degli stabilimenti non tardano mai ad arrivare. In questa spirale perversa i diritti sociali vengono contrapposti al diritto al lavoro, e il lavoro degli uomini a quello delle macchine.
Anche quando c’è, dunque, la ripresa è sempre più soltanto economica, senza occupazione. Facendo saltare così i cardini della sostenibilità, che è economica, sociale e ambientale insieme, o non è: sentire la responsabilità del lavoro significa anche, per i datori, avvertire come parte della propria attività la responsabilità di creare lavoro. Ma senza partire dai presupposti di un’analisi corretta del problema sciogliere il nodo del lavoro che manca diventa sempre più difficile. Prima ci rendiamo conto del vicolo cieco nel quale da soli ci siamo cacciati, e prima potremmo cominciare ad uscirne: alla Boldrini il merito di aver accesso una scintilla.
L.A.