Riceviamo e pubblichiamo

Come condurre la transizione ecologica e digitale, in un mondo senza pasti gratis

L’Abbate: «Serve uno Stato innovatore per garantire accesso e diffusione delle tecnologie come bene pubblico»

[13 Marzo 2024]

Le dinamiche della transizione ecologica costituiscono oggi elemento chiave per la rideterminazione di un sentiero di sviluppo che tenga conto della dotazione delle risorse naturali e dei servizi ecosistemici forniti dal patrimonio ambientale.

Le sfide poste dai cambiamenti climatici e dalla rapida evoluzione dei mercati energetici completano il quadro di un processo di trasformazione che richiede competenze multisettoriali e interdisciplinari.

Congiuntamente a competenze di tipo tecnico-scientifico, è oggi quanto mai critico l’apporto delle scienze sociali nel disegnare un quadro completo dei potenziali impatti positivi e negativi della transizione ecologica sulle società, includendo tra i soggetti coinvolti consumatori, famiglie, imprese e pubblica amministrazione.

Gli strumenti classici di politica economica disponibili per gli interventi di riduzione dell’impatto ambientale delle attività antropiche, ad inclusione dei sistemi di tassazione e di sostegno alle imprese, devono essere rivisti alla luce delle nuove opportunità di utilizzo di sistemi di gestione complessi dei meccanismi di mercato e di compensazione nella distribuzione degli impatti.

L’uso delle nuove tecnologie in tal senso risulta essere di cruciale importanza per la diffusione di processi produttivi e di consumo a basso impatto ambientale. Di conseguenza, lo sviluppo di strumenti di intervento pubblico flessibili e adattivi che sfruttino la capacità di elaborazione delle informazioni su larga scala per anticipare le traiettorie di sviluppo e cogliere le opportunità strategiche diventa elemento formativo indispensabile per garantire che le decisioni pubbliche siano al passo con i processi trasformativi.

Anche l’economia neoclassica riconosce un costo, per la natura, che consegue alla produzione, e cerca in qualche modo di internalizzarlo, di farlo pagare.

Il biologo Barry Commoner, nel suo libro “The closing circle” del 1971 ricorda al genere umano che “non ci sono pasti gratis”, ovvero in natura nulla è gratuito. Nel 1977 l’economista Milton Friedman espone uno dei principi base dell’economia, il costo-opportunità, il quale afferma che tutto ciò che potrebbe apparire gratuito per un individuo in realtà nasconde sempre un costo: il prezzo pagato dalla società nel rinunciare all’opportunità di destinare le medesime risorse ad usi alternativi, oltre a subire il danno dell’inquinamento.

Dunque sia l’ecologia che l’economia ci raccontano che tutto ciò che è preso dal sistema terra, anche in modalità apparentemente gratuita, ha sempre un costo, così come tutto ciò che è immesso nella natura come scarto, che aumenta l’entropia del sistema riducendone la resilienza e rendendo impossibile ritornare allo stato iniziale.

Per questo oggi si parla di “transizione ecologica”, un cambiamento verso un modello economico e culturale che affronti adeguatamente la complessità delle interazioni tra comunità,  economia, e sistema terra. Tutto è collegato.

Essendo tutto interconnesso ed associato ad un costo ambientale e sociale, i problemi attuali vanno affrontati con un approccio sistemico, che tenga conto di incertezza scientifica, prospettive e valori diversi, e che ponga al primo posto il principio di precauzione (sancito a livello internazionale e riportato nel 1982 nella Carta mondiale della natura) secondo cui non vanno intraprese attività i cui potenziali danni superino i benefici o non siano soddisfacentemente prevedibili.

Da qui deriva l’inadeguatezza del Pil come indicatore unico del benessere secondo il modello dell’“Homo economicus”, un automa che consuma prodotti e servizi fino a raggiungere la sua soddisfazione individuale; da sostituire con un nuovo approccio economico-ecologico in cui il benessere venga concepito più ampiamente per includere indicatori ambientali, sociali, estetici e di resilienza.

Questi nuovi valori si realizzano naturalmente in una maggiore parsimonia e lungimiranza nel consumo, tenendo conto dell’impronta ecologica delle nostre scelte per coniugare la realizzazione e felicità di generazioni presenti e future con un sviluppo economico intelligente, basato su tecnologie a basse emissioni e servizi e prodotti sostenibili.

Questa separazione dello sviluppo di un paese dagli impatti negativi sull’ambiente è il “disaccoppiamento”. L’agenda 2030 e il Green deal europeo si pongono l’obiettivo di accelerare il disaccoppiamento con una rivoluzione digitale e industriale, che sfrutti nuove tecnologie e sempre maggiore capacità di elaborazione di informazioni su larga scala riparare ai danni ambientali passati, garantire maggiori vantaggi sociali, e gestire simultaneamente la crisi climatica e di biodiversità evitando ricadute eccessive sul prezzo dei beni di consumo e la competitività dell’industria europea nel mercato globale.

Questa trasformazione sta tuttavia avvenendo a un ritmo troppo lento e poco uniforme. Sono necessarie nuove norme, leggi e regolamenti per supportare l’innovazione, la decarbonizzazione e la transizione da un modello economico lineare a un modello circolare. La grande sfida che l’Italia insieme a tutti i Paesi del mondo deve affrontare è collegata alla capacità di governare la complessità e le interconnessioni fra i sistemi sociali, gli habitat e i modelli economici, per la rideterminazione di un sentiero di sviluppo che necessita di nuove competenze multisettoriali e interdisciplinari.

Ispirandoci a economisti come Schumpeter, ripreso oggi da tanti studiosi dell’innovazione, da Mazzucato a Dosi, ma anche a nuove ispirazioni come l’economia circolare ben rappresentata dal lavoro di Kate Raworth, occorre esplorare anche il ruolo strategico dello stato e della spesa pubblica nei salti tecnologici, nell’introduzione dell’innovazione e quindi nella crescita della produttività, attraverso uno Stato innovatore, uno Stato che insieme al settore privato possa svolgere anch’esso un ruolo di imprenditore, per garantire accesso e diffusione delle tecnologie come bene pubblico.