Dall’economista ambientale Mazzanti 3 punti per finanziare un Green new deal della mobilità
Conte lascia, e per il nuovo Governo augura «un’efficace transizione ecologica»
La mozione di sfiducia che ha innescato la crisi ha sfruttato l’espediente della Tav: per non ricadere negli stessi errori serve un approccio più ampio e concreto all’ambientalismo
[21 Agosto 2019]
Dopo il motivato j’accuse lanciato ieri in Senato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte al suo vicepremier Matteo Salvini, reo di aver avanzato una mozione di sfiducia contro il proprio Governo, l’esperienza dell’esecutivo M5S-Lega è conclusa: sono bastati 14 mesi per frantumare quel mix di populismo e sovranismo che sembrava inarrestabile, e dalla cui ceneri è necessario adesso ricostruire una nuova esperienza politica. Una politica che sia orientata allo sviluppo sostenibile, come ha sottolineato il premier Conte annunciando le proprie dimissioni, nonostante la sostenibilità non sia stata certo la cifra che ha caratterizzato il Governo M5S-Lega.
«La politica – ha dichiarato ieri in Senato – deve adoperarsi per elaborare un grande piano che attribuisca all’Italia una posizione di leadership nel campo dei nuovi modelli economici ecosostenibili. Guardate che partiamo avvantaggiati, in Europa già ci distinguiamo per l’utilizzo delle energie rinnovabili dobbiamo puntare all’utilizzo delle tecniche scientifiche più innovative e sofisticate per consolidare questo primato […] L’obiettivo da perseguire dev’essere un’efficace transizione ecologica in modo da pervenire a un’articolata politica industriale che, senza scadere nel dirigismo economico, possa gradualmente orientare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare che favorisca la cultura del riciclo e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto. Lo sviluppo eco e sostenibile deve spingerci a integrare in modo sistematico nell’azione di governo un nuovo modello di crescita non più economicistico». Tutto giusto: peccato solo che di quest’orizzonte non si sia concretizzato praticamente niente in 14 mesi di Governo Conte.
Se queste sono le premesse, non è dunque peregrino ripartire da un orizzonte politico più ampio e pragmatico di quello che ha offerto alla Lega il pretesto per far cadere il Governo Conte attraverso una mozione di sfiducia imperniata sulla dicotomia Tav sì – Tav no: “L’esame in aula delle mozioni riguardanti la Tav – si legge infatti in quella mozione – ha suggellato una situazione di forti differenze di vedute, tra le due forze di maggioranza, su un tema fondamentale per la crescita del paese come lo sviluppo delle infrastrutture”.
Posto che spostare i traffici di merci e persone dalla strada ai binari è sicuramente un obiettivo di mobilità sostenibile, l’analisi costi-benefici condotta dal Governo Conte sulla Tav è stata utile solo per chiarire i termini del problema, dato che i risultati finali cambiano radicalmente a seconda della metodologia adottata e la scelta finale sulla grande opera è e rimane (naturalmente) politica. Non è la scelta su una singola infrastruttura a definire, da sola, la sostenibilità ambientale di una linea politica. A testimoniarlo è proprio l’analisi costi-benefici sulla Tav, suggerendo che «il “no” alla Torino-Lione sarebbe sostenuto – come argomenta l’economista Marco Causi – da motivazioni fortemente anti-ambientali: alla riduzione di consumi di benzina e pedaggi autostradali verrebbe assegnato un disvalore sociale di dimensione analoga al valore sociale della riduzione della CO2 immessa nell’atmosfera e della riduzione dei costi di trasporto».
Per uscire da questo e da molti altri paradossi è necessario adottare un approccio più ampio e coerente, proponendo – come argomentato più volte anche su queste pagine – un piano di sviluppo sostenibile e non antagonismi sulle singole opere. Proprio la Tav è un esempio che nei giorni scorsi uno dei padri nobili dell’ambientalismo italiano, Ermete Realacci, è tornato a evidenziare: «Io capisco i motivi identitari dei cittadini della Val di Susa – ha dichiarato a Linkiesta – ma opporsi al Tav non è ambientalismo. Serve che qualcuno si impegni a spostare le merci da gomma a rotaia. Da Italia a Svizzera le merci vanno tutte su treno. Tra Italia e Francia vanno al 90% su gomma. Parliamo di questo? Magari troviamo una sintesi. Su questo e su altri argomenti».
Legambiente (che rimane comunque contraria alla Torino-Lione) stima in 10,8 miliardi di euro la cifra necessaria ad alimentare una cura del ferro per il Paese che non sia incentrata sulle grandi opere, ma diffusa su 26 tra linee ferroviarie, metro e tram che permetterebbero una mobilità più sostenibile per 12 milioni di persone: iniziare finalmente a investire su questo fronte offrirebbe quell’approccio più ampio e coerente alla mobilità sostenibile che restituirebbe un senso anche alla Tav.
«È necessario andare oltre al dibattito Tav sì Tav no, promuovendo una visione sia politica sia di sostenibilità e investimenti che si concretizzi in un Green new deal», ci spiega Massimiliano Mazzanti, firma storica del nostro think tank redazionale e già presidente dell’Associazione italiana degli economisti dell’ambiente e delle risorse naturali (Iaere). «Occorre un piano per investimenti sui trasporti pubblici dal nord al sud, dove anche la Tav può essere inclusa senza monopolizzare l’intero dibattito».
Per spostare la mobilità italiana sui binari più sostenibili sono tre i principali punti su cui lavorare: «Investimenti sia treni regionali sia su bus, naturalmente alimentati da combustibili non fossili, per una mobilità integrata che sia capace di chiudere il divario ad oggi esistente tra le aree coperte dall’efficiente Frecciarossa e gli altri territori dimenticati; la realizzazione di linee metropolitane nelle grandi città; la diffusione di car e bike sharing elettrici, sempre in visione integrata. Tre punti che – argomenta Mazzanti – non rappresentano le uniche priorità ma sarebbero già sufficienti a mobilitare grandi investimenti per migliorare la sostenibilità dei trasporti».
Da finanziarsi come? Anche in questo caso Mazzanti suggerisce tre vie: «Bond a lunghissimo termine, che ad oggi possono essere emessi a tassi accettabili e comportano una visione di lungo periodo compatibile con quella della sostenibilità; flussi monetari derivanti dai parcheggi, attraverso una tariffazione giusta e congrua per l’occupazione di suolo pubblico; estensione ad altre città dell’ecopass già sperimentato con successo a Milano. Combinando questi tre strumenti – conclude l’economista – si potrebbe finanziare con un portafoglio adeguato gli investimenti necessari per un trasporto pubblico efficiente e integrato».