Cop21, nei negoziati dov’è finita «la giusta transizione per i lavoratori» verso i green job?
Clima e lavoro si difendono insieme: i sindacati chiedono un riferimento esplicito nella parte giuridicamente vincolante dell’accordo
[9 Dicembre 2015]
Ora che i ministri sono arrivati alla Cop21 sembra ormai che tutti siano convinti che questa Conferenza sul clima si concluderà con un accordo. La questione è quale tipo di accordo. Qualcuno ha efficacemente sintetizzato i possibili risultati con due opzioni alternative: l’accordo senza rimpianti o l’accordo a 3°, o accordo minimalista; il primo potrebbe consentirci di lottare per mantenere la temperatura entro 1,5° rispondendo anche alle esigenze dei paesi più vulnerabili, il secondo servirebbe solo a proteggere gli interessi delle lobby resistenti alla transizione senza nessun interesse per i popoli.
I paesi del Gruppo 77 e Cina, gruppo che rappresenta paesi in via di sviluppo del sud del mondo più la Cina, paesi che rappresentano il 55% della popolazione mondiale, vogliono un accordo che permetta di limitare l’aumento della temperatura consentendo allo stesso tempo ai propri paesi uno sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà. I 44 piccoli stati insulari vulnerabili chiedono il riconoscimento scientifico dell’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 °C e di aumentare l’apporto finanziario. Tutti si dichiarano interessati a un accordo ambizioso, equilibrato e giusto, anche l’Arabia Saudita che ha però precisato che l’accordo non deve discriminare nessuna forma di energia.
Nonostante ciò, la situazione al momento è estremamente deludente. Ormai è tristemente noto che gli impegni volontari (Indcs) presentati dai governi non sono sufficienti per mantenere la temperatura entro i 2°; i paesi sono divisi sulla definizione dell’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030, fra 1,5° e 2° ma nessuno sembra preoccuparsi del fatto che i contributi volontari presentati dai vari paesi porteranno a un aumento programmato stimato fra i 2,7 °C e i 3,5 °C. Si discute di un meccanismo di revisione quinquennale degli obiettivi, alcuni vorrebbero a partire dal 2018 (quindi prima dell’entrata in vigore del trattato) altri vorrebbero la prima revisione al 2024, il che vorrebbe dire avere di fronte 10 anni in cui potrebbe non essere fatto nulla. Non c’è ancora un accordo su un meccanismo trasparente di monitoraggio, nessun impegno finanziario per i paesi industrializzati per il periodo pre-2020, nessuna certezza sul finanziamento per i danni e le perdite e poco oltre le promesse per il finanziamento aggiuntivo post 2020.
In questo contesto, i diritti umani rischiano di essere estromessi dal testo dell’accordo e della giusta transizione, molto probabilmente, resterà solo un vago richiamo nel preambolo. Senza mutamenti nel livello delle trattative, tutte le ambizione e le richieste del movimento sindacale e per il clima resterebbero disattese. Per questo oggi il movimento sindacale ha nuovamente sollecitato le delegazioni governative dei vari rispettivi paesi per chiedere impegni precisi e concreti sulla finanza climatica (per assicurare protezione ai paesi vulnerabili e per assicurare il cambiamento del modello di sviluppo, per la mitigazione e l’adattamento, per nuovi investimenti e nuovi lavori per il clima), sull’implementazione di un meccanismo di revisione dei contributi al più tardi al 2018 (che consenta di contenere l’aumento della temperatura entro i 2°, se possibile 1,5°), e infine per mantenere del testo dell’accordo il rispetto dei diritti umani, dei diritti delle popolazioni indigene, l’equità intergenerazionale e di genere, la giusta transizione per i lavoratori e il lavoro dignitoso, per assicurare a tutti i popoli del pianeta un futuro sostenibile, equo, giusto, con piena occupazione, rispettoso della terra e dell’autodeterminazione dei popoli.
Il segretario generale delle Etuc, Luca Visentini, ha inviato una lettera (vedi allegato) al presidente della Commissione europea Junker per ribadire le richieste del movimento sindacale all’Ue, e i rappresentanti di Cgil, Uil, Wwf, Legambiente e Italian climate network presenti alla Cop21 hanno incontrato il ministro Galletti per sollecitare un impegno concreto del nostro Governo sui punti sopra esposti, chiedendo esplicitamente un interessamento dell’Italia affinché la giusta transizione e il lavoro dignitoso siano inseriti nella parte giuridicamente vincolante del testo. Senza anche uno solo di questi elementi l’accordo di Parigi non avrà infatti l’equilibrio necessario per essere giusto, equo, ambizioso, sostenibile e realizzabile: il movimento sindacale valuterà, a partire dalla pubblicazione del nuovo testo, eventuali azioni di mobilitazione da mettere in atto per difendere il pianeta, il clima e il lavoro.