Un quarto degli under 35 è disoccupato e oltre la metà vive ancora coi propri genitori

Cresce la disuguaglianza in Italia e i giovani sono sempre più penalizzati

La ricchezza dello 0,1% degli italiani più ricchi è raddoppiata (e quella dello 0,01% triplicata) dalla metà degli anni ’90, mentre quella posseduta dalla metà più povera del Paese è calata dell’80%

[19 Maggio 2021]

Nell’arco degli ultimi trent’anni l’incremento della disuguaglianza è stato una costante per l’Italia, e non c’è dunque da stupirsi se a rimetterci è stata in primis – ed è ancora – la fetta del Paese per la quale sarebbe arrivato ora il momento di costruirsi una vita autonoma: i giovani che sono nati quando questa folle corsa collettiva verso il baratro sociale è iniziata.

La dinamica dei redditi italiana è nota da tempo, e mostra che dal 1988 al 2016 il 70% della popolazione ha subito (in termini di reddito prima delle imposte) un calo del proprio tenore di vita, con crolli anche del 20%-30% per i ceti meno abbienti, mentre solo il 10% della popolazione sta meglio ora che alla fine degli anni ’80. A vincere sono stati dunque i portatori di privilegi e rendite, ma in che misura? A rispondere con dovizia di particolari è lo studio The concentration of personal wealth in Italy 1995-2016 – pubblicato da Paolo Acciari, Facundo Alvaredo e Salvatore Morelli – che attinge a nuova fonte di dati, mai utilizzata finora: i registri delle imposte di successione presentate all’Agenzia delle entrate.

Come sintetizza Morelli su lavoce.info, in Italia c’è stata una vera e propria inversione delle fortune nel periodo analizzato: lo 0,1% più ricco ha visto raddoppiare la sua ricchezza netta media reale (da 7,6 milioni di euro a 15,8 milioni di euro ai prezzi del 2016), facendo raddoppiare la sua quota dal 5,5 al 9,3 %. La quota spettante al top 0,01% (ovvero i 5 mila adulti più ricchi) è addirittura quasi triplicata, passando dall’1,8 al 5%.

Al contrario, il 50% più povero controllava l’11,7% della ricchezza totale nel 1995, e il 3,5 nel 2016: ovvero ha subito un calo dell’80% della sua ricchezza netta media (da 27 mila a 7 mila euro a prezzi 2016). In altre parole circa 25 milioni di italiani hanno sperimentato il più forte declino nella concentrazione della ricchezza dalla metà degli anni ’90, se confrontato con gli altri paesi.

Come mai? Lo studio mostra che le quote di ricchezza di tutti i gruppi al di sopra del 90° percentile sono per lo più guidate dalla dinamica dei patrimoni finanziari e di impresa (l’accumulo di patrimoni immobiliari sembra al contrario aver avuto un effetto di stabilizzazione) ma molto dipende anche da donazioni ed eredità. Questi lasciti infatti «sono sempre più concentrati e il loro peso è pressappoco raddoppiato in proporzione al reddito nazionale a partire dalla metà degli anni 90», sottolinea Morelli, mentre il relativo carico fiscale è crollato: i cambiamenti normativi intercorsi «hanno ridotto drasticamente le entrate dell’imposta di successione, passate dallo 0,14 allo 0,06 per cento del totale delle entrate fiscali dal 1995 al 2016».

Chi c’abbia rimesso di più dal progressivo accentramento di redditi e ricchezza è evidente, e rappresenta il dato che emerge con forza dall’indagine Condizioni e prospettive occupazionali, retributive e contributive dei giovani appena pubblicata dal Consiglio nazionale dei giovani (Cng) insieme ad Eures.

Dall’indagine  ̶  condotta nel periodo di febbraio-aprile 2021 su un campione nazionale di 960 giovani della fascia 18-35 anni  ̶  emerge infatti che il 50,3% degli under 35 vive ancora con i propri genitori, tarpando le ali ad ogni sogno d’autonomia. Tra coloro che possono contare su un lavoro stabile, il 56,3% è riuscito a creare un nucleo familiare, rispetto al 33% dei coetanei che non sono riusciti a farlo a causa di un lavoro discontinuo. D’altronde, nei cinque anni successivi al completamento degli studi, soltanto poco più di un italiano su tre (37%) può contare su un lavoro stabile, mentre il 26% è un giovane “precario” con contratto a termine e un quarto degli under 35 (24%) risulta disoccupato.

Secondo lo studio, la mancanza di certezze dal punto di vista occupazionale condiziona anche le scelte procreative, legate tuttavia ad una più ampia pluralità di fattori: soltanto il 6,5 % dei giovani tra i 18 e i 35 anni afferma infatti di avere figli (8,8% tra i lavoratori stabili), mentre un terzo (33%) dichiara di non averne e di non volerne neanche negli anni a venire. Mancano, infatti, le condizioni per mettere su famiglia: solamente il 12% degli under 35 è proprietario della casa in cui abita. Uno su 10 (11%) ha provato ad acquistare un appartamento e il 7,8% è riuscito ad ottenere un mutuo, mentre a un terzo dei casi (3% del campione) il mutuo è stato rifiutato.  Il 40% dei giovani non prova nemmeno a chiederlo perché consapevole della mancanza di requisiti.

In questo contesto, non stupisce la profonda sfiducia manifestata dai giovani nei confronti dell’attuale sistema pensionistico. Circa la metà degli under 35 intervistati (44%) immagina che andrà in pensione dopo i 70 anni. Otto giovani su dieci vivono negativamente il pensiero delle condizioni materiali di vita consentite dalla futura pensione, esprimendo al riguardo paura (29%), frustrazione (24%) o rassegnazione (25%), mentre sette giovani su dieci (68%) neanche conoscono la propria situazione contributiva, non essendosi mai informato al riguardo.

Per la quasi totalità dei giovani intervistati (94%), infine, è lo Stato che dovrebbe impegnare le proprie risorse per assicurare una pensione adeguata alle nuove generazioni. In particolare, più di otto giovani su dieci (83%) è favorevole all’introduzione dei “contributi figurativi” e il 75% all’introduzione di una pensione di garanzia non inferiore a una soglia minima (ad oggi stimata in 660 euro mensili). Per i giovani intervistati le risorse necessarie dovrebbero essere reperite attraverso un’attività di recupero dell’evasione fiscale (43%), oltre un terzo del campione auspica invece interventi redistributivi della ricchezza, in primis una tassazione più severa sui redditi alti (12%).