
Dalla Toscana sì alla transizione verde, ma perché sia anche giusta deve essere governata

La transizione verde, ovvero l’auspicata trasformazione del nostro modello di crescita in un più solido strumento di sviluppo sostenibile nel tempo, rappresenta l’opzione migliore per coniugare le esigenze del lavoro con quelle dell’ambiente: a patto che sia adeguatamente governata dalle istituzioni.
Il presidente della Toscana Enrico Rossi, in qualità di vicepresidente della Crpm (Conferenza delle Regioni marittime) è intervenuto ieri a Bruxelles per ribadire il proprio «sì alla transizione verde e al Green new deal. Ma non sottovalutiamo l'impatto che potrà avere su occupazione e mondo del lavoro. Se la transizione non sarà governata, il rischio è che a pagare siano i lavoratori e i ceti popolari».
Rossi ha poi aggiunto, esprimendo qualche preoccupazione, che «i fondi che vanno alle Regioni vanno indirizzati al Green new deal: fondi per la ricerca, per l'innovazione, per la formazione e anche per l'agricoltura. Sono preoccupato perché sento parlare di risorse fresche, ma dove si prenderanno? Rispetto ai grandi impegni che derivano da una transizione ecologica non si deve ridiscutere in Europa anche della possibilità di una tassazione europea?».
Il presidente ha quindi concluso il proprio intervento sottolineando la necessità di andare in direzione di una lotta forte e determinata ai cambiamenti climatici. «Ma dobbiamo stare attenti al rischio che questa transizione può avere sul mondo del lavoro. O sarà regolata o, come già avvenuto con la globalizzazione, a pagare saranno le classi operaie occidentali. Ed in particolare chi ancora lavora in miniera, e sono ancora tanti, oppure nel settore automotive. Come riusciremo a garantire una giusta transizione dal posto di lavoro al posto di lavoro? Saranno sufficienti i finanziamenti per la formazione o occorreranno nuovi strumenti? E come possiamo supportare in quanto regione il vostro lavoro?».
Quel che è cherto è che, secondo l’ultimo rapporto GreenItaly, nel 2018 il numero dei green jobs in Italia ha superato la soglia dei 3 milioni: 3.100.000 unità, il 13,4% del totale dell’occupazione complessiva (nel 2017 era il 13,0%). L’occupazione green nel 2018 è cresciuta rispetto al 2017 di oltre 100 mila unità, con un incremento del +3,4% rispetto al +0,5% delle altre figure professionali, ovvero con un ritmo di crescita 7 volte più veloce. Un trend che, se sostenuto da un adeguato flusso di investimenti, permetterebbe di dare ulteriore linfa al mondo del lavoro; la Fondazione per lo sviluppo sostenibile, guidata dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, afferma al proposito che intervenendo su cinque macrosettori relativi allo sviluppo sostenibile è possibile stimolare la crescita di altri 800.000 nuovi posti di lavoro entro il 2025.
Tutto questo non significa però che la transizione verde sarà anche indolore, anzi. Alcune produzioni (come quelle legate ai combustibili fossili) andranno giocoforza riducendosi nel tempo, altre – come nel caso della rivoluzione elettrica che sta investendo il mondo dell’automotive – cambieranno radicalmente nei prossimi anni. Per poter affrontare questa transizione i lavoratori non possono essere lasciati soli, ma accompagnati da strumenti di welfare adeguati, da investimenti pubblici e da un processo di formazione continua; a rimetterci altrimenti saranno non soltanto loro ma l’intero pianeta, perché come affermava già molti anni fa Alexander Langer “la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”.
