Il 68% del greggio russo viene trasportato su navi europee
Dall’inizio della guerra la Russia ha guadagnato 93 mld di euro grazie ai combustibili fossili
Crea: nei primi 100 giorni dall’invasione dell’Ucraina, l’Italia ne ha importati per 7,8 miliardi di euro
[14 Giugno 2022]
Nonostante le sanzioni internazionali che hanno iniziato a colpire il mercato russo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, l’autocrazia di Putin continua a guadagnare profumatamente esportando i propri combustibili fossili, che restano «un fattore chiave» per finanziare la brutale aggressione contro l’Ucraina, come sottolinea il nuovo report prodotto dal Centre for research on energy and clean air (Crea).
Da una parte i volumi esportati dalla Russia sono leggermente diminuiti a maggio (-15% circa) rispetto al periodo pre-invasione, in quanto molti Paesi e aziende stanno evitando questo canale di fornitura; a sua volta, la Russia si trova così a vendere i propri combustibili fossili a prezzo “scontato” agli altri acquirenti rimasti sul mercato, rispetto a quelli che avrebbe potuto far valere senza sanzioni internazionali. Un mix di fattori che, nel mese di maggio, si stima abbia fatto perdere a Mosca ulteriori guadagni per circa 200 di euro al giorno. Tuttavia, a causa delle tensioni internazionali i prezzi medi all’esportazione dalla Russia restano in media del 60% più alti rispetto a quelli dello scorso anno.
Ecco perché, di fatto, secondo le stime Crea la Russia ha comunque guadagnato 93 miliardi di euro dall’export di combustibili fossili – gas, petrolio e carbone – nei primi 100 giorni di guerra (24 febbraio-2 giugno). E il 61% è stato acquistato da Stati membri dell’Ue, per circa 57 mld di euro.
Analizzando un corposo set di dati sui flussi commerciali russi, il Crea stima che in questi primi 100 giorni le entrate del Cremlino comprendano circa 46 miliardi di euro dall’export di petrolio greggio, 24 mld€ dalla vendita di metano tramite gasdotti, 13 mld€ dalla vendita di altri prodotti petroliferi, 5,1 mld€ dal Gnl e 4,8 mld€ dal carbone.
Con alcuni Paesi che sembrano approfittare della situazione più di altri: per India, Francia, Cina, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita l’import di combustibili fossili russi appare in crescita. Più in generale i maggiori importatori sono risultati Cina (12,6 miliardi di euro), Germania (12,1), Italia (7,8), Paesi Bassi (7,8), Turchia (6,7), Polonia (4,4), Francia (4,3) e India (3,4).
Non solo: dato che il petrolio russo viene spedito sempre più verso mercati lontani rispetto a quello europeo, per il Cremlino è necessaria avere molte navi cisterna a disposizione. Il paradosso è che il 68% delle consegne di greggio russo sia avvenuto – nei mesi di aprile e maggio, dunque dopo mesi di guerra in Ucraina – con navi appartenenti a società appartenenti all’Ue, al Regno Unito e alla Norvegia, con le petroliere battenti bandiera greca ad occuparsi del 43% del greggio russo trasportato.
«Questa è una vulnerabilità chiave: forti sanzioni contro le petroliere che trasportano greggio russo limiterebbero significativamente la portata di questo tipo di reindirizzamento delle esportazioni russe», argomenta il Crea. Per il resto, che fare? La soluzione strutturale alla dipendenza dai combustibili fossili resta sempre la stessa: rinnovabili ed efficienza energetica, gli stessi strumenti in grado di limitare i danni all’economia europea legati al progressivo stop all’import dalla Russia.
«I prezzi record dei combustibili fossili e la spinta a ridurre la dipendenza dalla Russia hanno stimolato una maggiore ambizione per l’energia pulita e l’efficienza energetica in tutta Europa, che ridurranno efficacemente l’impatto del divieto di importazioni dalla Russia», conferma il Crea.