Dopotutto, grazie alla Grecia
Di nuovo ore «decisive» per il futuro dell’Ue: comunque finirà, saremo in debito con i greci
[22 Giugno 2015]
Il ritmo dei summit europei sulle sorti della Grecia si fa serrato come un rullo di tamburo, ora che la fine di giugno – quando terminerà l’attuale piano di “aiuti” – si avvicina, insieme alla necessità di trovare un accordo tra debitori e creditori. Secondo il commissario europeo all’Economia, Pierre Moscovici, l’incontro odierno a Bruxelles sarà «decisiva», e le ennesime proposte elleniche di compromesso «sono una buona base per fare progressi» secondo Martin Selmayr, capo di gabinetto del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker.
In queste ore come sempre «decisive», si continua a sostenere che la palla è nel campo della Grecia. Sta ai greci decidere di redimersi, e adeguarsi all’unica logica economica possibile, quella che passa per l’austerità imposta dalle “istituzioni”, ex-troika. Non è così. A causa di questa logica, dal 2009 la Grecia non ha fatto altro che continuare ad affondare più in fretta. Il tasso di disoccupazione arriva oggi al 27% (quello giovanile è circa il doppio), il Pil è crollato della medesima percentuale e il suo rapporto col debito pubblico è schizzato al 180%, nonostante il deficit sia in discesa.
Come ha lucidamente osservato l’economista Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute alla Columbia university e del Sustainable development solutions network dell’Onu, «le richieste dell’Europa, evidentemente mirate a garantire che la Grecia paghi il debito straniero, sono petulanti, ingenue e fondamentalmente autodistruttive. Rifiutandole i greci non stanno facendo alcun gioco, ma stanno cercando di sopravvivere […]Purtroppo il continente continua ad essere diviso in base a raggruppamenti tribali».
Sulla pelle della Grecia si stanno testando rapporti di forza politica, ammantati di algidità economica. Come noto, autorevoli economisti propongono da tempo soluzioni alternative per lo sviluppo economico Grecia e l’Europa nel suo complesso. Di fronte all’innegabile fallimento dell’austerità proposta come cura, gli stessi ricercatori del Fondo monetario internazionale sfornano a ripetizione studi che contraddicono nettamente le politiche suggerite dal Fondo stesso per la Grecia. Un trend iniziato nel lontano 2012, ma che non ha mai realmente inciso nelle trattative. Mentre ai greci viene chiesto di tagliare ancora salari e pensioni (già precipitati dal 2009 rispettivamente del 37 e 48%, secondo i dati riportati dal ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis), attualmente un economista senior dell’Fmi può godere (a 55 anni) di una pensione 10 volte più generosa di quella concessa a un pensionato greco appartenente al 60esimo percentile: 100mila dollari l’anno contro 9.500. Tale contesto, tracciato con amara ironia da Dean Baker, macroeconomista co-fondatore del Cepr (Center for Economic and Policy Research) fa nascere spontanea una domanda: perché tanto paradossale accanimento nei confronti della Grecia?
Certo non per stupidità delle parti in causa, vista l’autorevolezza dei soggetti in campo e la rilevanza della posta in gioco. Piuttosto, come il premier greco Tsipras ha recentemente avuto occasione di dichiarare al Corriere della Sera, «le teorie economiche vengono costruite per sostenere specifici interessi sociali», e in Europa si è finora preferito schiacciare il dissenso di un governo di sinistra democraticamente eletto piuttosto che scomodarsi e rivedere i dogmi vigenti. Non è un buon viatico per l’Europa del presente e dell’immediato futuro, che il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, insieme a Donald Tusk (Consiglio europeo), Jeroen Dijsselbloem (Eurogruppo), Martin Schulz (Parlamento europeo) e Mario Draghi (Bce) si apprestano a voler riformare proponendo una road map che verrà presentata a breve.
Se al Paese che ha inventato la democrazia sarà permesso di rimanere a condizioni dignitose all’interno dell’Ue, o per qualunque altro esito che potrà avere la trattativa tra la Grecia e il resto d’Europa, dovremmo comunque ringraziare i greci per la loro ostinazione. Rimarrà però sempre vivo il rammarico di non aver potuto scoprire cosa sarebbe successo se, invece di regalare cravatte, insieme alla Grecia si fossero schierati quantomeno i governi dell’Europa mediterranea. Il grado di sostenibilità sociale vigente in quella che ama dichiararsi la patria dei diritti (e del diritto) si misura anche così.