È possibile rendere più sostenibile produzione e gestione post-consumo delle mascherine?
A fronte del rischio sanitario connesso ad oggi, una volta usate, vengono inviate prioritariamente a incenerimento o in discarica. Ma riuso e riciclo restano opzioni da esplorare
[30 Aprile 2020]
Si fa presto a dire mascherine, se ne potrebbe scrivere un trattato. Ma siccome da qualche parte bisogna iniziare partiamo da una premessa. Al momento le indicazioni del governo sono di gettare i dispositivi di protezione individuale, mascherine e guanti in primis, nella raccolta dell’indifferenziato, da inviare prioritariamente a recupero energetico così da garantirne la sterilizzazione. Inevitabile nel pieno dell’emergenza e condivisibile pur sapendo che le promesse difficilmente possono essere rispettate vista la penuria di impianti di incenerimento in Italia. Logico anche dal punto normativo, visto che i dpi non sono imballaggi, e come sappiamo bene nella raccolta differenziata della plastica vanno solo gli imballaggi in plastica.
Secondo dato oggettivo: per essere (minimamente) efficaci le mascherine dovrebbero essere usa e getta. Difficilmente anche i modelli più evoluti, lavabili e riutilizzabili, possono garantire la stessa (già scarsa in partenza) protezione.
Terzo dato oggettivo: gli abitanti in Italia sono 60 milioni scarsi. Questo significa che in teoria potremmo aver bisogno di qualcosa come 30-40 milioni di mascherine al giorno. Al giorno.
Quarto dato oggettivo: mascherine e guanti hanno invaso i nostri marciapiedi, finiranno nelle fognature, nei corsi d’acqua, in mare. Già ci sono.
Quinto dato oggettivo: è stato dimostrato che il coronavirus sopravvive sulle superfici di plastica per un massimo di 8-10 ore. Quindi se è giustissimo in questa fase evitare qualsiasi rischio indirizzando queste mascherine verso il recupero energetico, è vero che a emergenza calmierata si può ragionevolmente pensare ad una soluzione più sostenibile, ovvero a un recupero di materia che non comporti rischi per gli operatori che solitamente vengono a contatto con rifiuti gettati via giorni se non settimane prima.
Sesto e ultimo dato su cui riflettere è il libera tutti a cui stiamo assistendo oggi: tutti stanno fabbricando mascherine e l’intento per carità è stramaledettemente buono. Però bisognerebbe che qualcuno dicesse alle aziende come devono essere fatte, perché così si rischia di aggiungere danno al danno.
I decisori politici dovrebbero dunque suggerire in modo chiaro due strade da seguire. La prima è quella della riusabilità: studiare soluzioni e filati che mantengano la loro funzione protettiva a distanza nel tempo. Una sfida per l’industria italiana. Ma anche un’occasione per provare a creare nuovi mercati anche all’estero.
La seconda strada è quella del riciclo. E qui si apre un mondo, perché intanto bisogna vedere di cosa sono fatte queste mascherine: principalmente viene utilizzato il polipropilene, che è un tipo di polimero facilmente riciclabile. Raramente però si trova da solo nelle mascherine e di solito viene associato a strati di polietilene (e le cose vanno ancora bene) o al poliestere (negativo) al pet (negativissimo, perché pet e polipropilene sono come l’acqua e l’olio, incompatibili tra loro e quindi non riciclabili), al polyammide (anche qui pollice verso) e addirittura pare che qualcuno stia testando l’abs. Insomma una giungla che andrebbe regolata.
L’ideale sarebbe obbligare a produrre solo mascherine facilmente riciclabili, quindi fatte con un solo polimero o al limite con due (polipropilene e polietilene, la cui industria del riciclo è già consolidata). In questa direzione va anche l’appello lanciato dal biologo marino Silvio Greco, docente universitario, ex assessore all’Ambiente della Regione Calabria e autore di libri tra cui “La plastica nel piatto”. Ieri Silvio Greco ha inviato al ministero dell’Ambiente un documento in cui chiede proprio di intervenire per regolarizzare e rendere sostenibile la produzione delle mascherine. E contemporaneamente di sostenere economicamente gli adeguamenti impiantistici necessari alle piattaforme di selezione e riciclo. Ovviamente poi mancherebbe solo una deroga per la gestione differenziata delle mascherine, anche se non sono imballaggi.
Ottima iniziativa quella di Silvio Greco, peccato sia stata preceduta da un videomessaggio sui sociale dello stesso Greco che è stato male interpretato dai più: ovvero che fin da ora, per evitare le dispersioni in mare, si dovevano gettare le mascherine nella raccolta differenziata, dando quindi un messaggio che ad oggi è prematuro, fuorviante e scorretto.
E i guanti monouso? Già. I guanti. Ne parliamo alla prossima puntata.