Tra le proposte Iva agevolata, obbligo di un contenuto minimo di materiali riciclati, Gpp
Ecco come il Recovery fund europeo può far crescere l’economia circolare in Italia
Ronchi: «Ciò che serve al Paese è lo sviluppo di un nuovo ciclo di investimenti per la realizzazione di impianti di gestione dei rifiuti»
[28 Luglio 2020]
Mentre l’Europa punta con decisione sull’economia circolare l’Italia, che pur con tutte le sue lacune presenta un tasso di circolarità (17,7%) più alto della media Ue (11,2%), proprio adesso sembra aver tirato il freno a mano: gli occupati nel comparto sono diminuiti dell’1% tra il 2008 e il 2017, i rifiuti prodotti crescono (sia gli urbani sia gli speciali, al netto della crisi Covid-19) mentre gli impianti per gestirli sono sempre meno, e anche per quanto riguarda il tasso di circolarità i progressi sono ormai allo zero virgola. Uno scenario deprimente nel quale s’intravede però la possibilità di una ripresa, grazie al Recovery fund sul quale il Consiglio europeo ha recentemente trovato l’intesa e che si regge su due pilastri: transizione ecologica e digitale.
«L’economia circolare può essere il volano per la ripresa del nostro Paese – spiega Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente del Circular economy network (Cen) – è un treno che non possiamo perdere. Ma finora la risposta che è venuta dal governo in questo campo non è stata adeguata alla sfida che abbiamo di fronte. Bisogna fare di più. E senza perdere tempo perché occorre elaborare rapidamente progetti dettagliati e convincenti per l’utilizzo dei 209 miliardi di euro del Recovery Fund».
In quest’ottica il Cen ha elaborato una proposta in venti punti, equamente suddivisi con 10 investimenti nell’economia circolare da poter finanziare grazie all’Europa e altrettante riforme da mettere in campo affinché gli investimenti possano funzionare.
Per quanto riguarda gli investimenti «si tratta in primo luogo – spiega il Cen – di aumentare i finanziamenti pubblici del Piano transizione 4.0 per le imprese che investono nell’economia circolare. E poi di dare, nel 2021 e nel 2022, contributi a fondo perduto pari alla metà dei fondi necessari per la riconversione dei prodotti difficili da riciclare in prodotti facilmente riciclabili. In questo modo si potrà stimolare la progettazione di filiere di produzione più avanzate. Ma per realizzarle servono gli impianti. È necessario perciò riformare e semplificare il sistema delle autorizzazioni. Inoltre vanno accelerate le procedure amministrative».
Servono cioè sia investimenti che strumenti operativi per rendere più facile la vita a chi sceglie l’innovazione nel campo dell’economia circolare. Ad esempio? Sul fronte legislativo, il Cen (ri)lancia la proposta di semplificare la procedura per il riciclo dei rifiuti (End of waste), rendendo più efficaci i controlli ordinari, eliminando il doppio sistema di controllo a campione delle autorizzazioni caso per caso. E di costituire l’Agenzia nazionale per l’uso efficiente delle risorse nell’ambito dell’Enea: uno strumento di coordinamento, mettendo a sistema enti di ricerca, università, poli finalizzati al trasferimento tecnologico verso le imprese.
Tra le riforme proposte molte sono quelle perorate da anni (anche) su queste pagine: “promuovere misure di fiscalità ecologica tese a incentivare l’utilizzo di materie prime seconde derivate dal riciclo e, in particolare, coordinare a livello europeo misure per introdurre un’IVA agevolata per l’economia circolare”; “Aumentare il tasso di circolarità della manifattura introducendo l’obbligo di un contenuto minimo di materiali riciclati in determinati prodotti, previlegiando le materie riciclate di provenienza nazionale ed europea e valorizzando anche l’utilizzo di materiali di origine organica, rinnovabili e compostabili”; “Attivare un monitoraggio e un supporto allo sviluppo degli appalti verdi (Green Public Procurement)”.
Si chiede infine di “completare l’iter per il recepimento e l’attuazione del pacchetto di direttive rifiuti – economia circolare”, iter che peraltro dovrebbe portare a redigere un “Programma nazionale rifiuti” che sappia individuare le lacune impiantistiche per la gestione dei nostri scarti (urbani e speciali): le aziende di settore hanno individuato investimenti necessari che oscillano (secondo le stime Assoambiente e Utilitalia) tra i 7 e i 10 miliardi di euro, ma la concreta realizzazione degli impianti è ferma al palo a causa di una normativa respingente, di una burocrazia asfissiante e del proliferare delle sindromi Nimby e Nimto.
«Ciò che serve al Paese – conclude Ronchi – è lo sviluppo di un nuovo ciclo di investimenti per la realizzazione di impianti di gestione dei rifiuti. Anche per l’economia circolare chiediamo strategie per superare gravi squilibri territoriali nella dotazione impiantistica. Solo così consentiremo il raggiungimento sull’intero territorio nazionale degli obiettivi indicati dalle direttive europee».