Ecco come l’agrivoltaico può contribuire ad aumentare la resilienza del settore agroalimentare
Con questi impianti possibile un aumento della resa di alcune colture: l’ombra generata riduce la temperatura del suolo e il fabbisogno idrico
[14 Maggio 2021]
L’agrivoltaico sostenibile, che consente di produrre energia elettrica da fotovoltaico e, al tempo stesso, di coltivare i terreni, rappresenta un fronte tecnologico particolarmente promettente per salvaguardare al contempo clima e paesaggio, rafforzando peraltro la filiera agricola nazionale.
Per approfondirne le potenzialità, l’Enea ha avviato la prima rete nazionale per l’agrivoltaico sostenibile, sostenuta da soggetti che spaziano da Confagricoltura a Legambiente; l’obiettivo del network è di arrivare alla definizione di un quadro metodologico e normativo, di linee guida per la progettazione e valutazione degli impianti, di strumenti di supporto ai decisori e di contribuire alla diffusione di conoscenze e promuovere le eccellenze italiane nei settori delle nuove tecnologie per l’energia rinnovabile, dell’agricoltura e del paesaggio.
«La specificità dei contesti urbani italiani e il limitato potenziale di integrazione del fotovoltaico negli edifici, ma anche le incertezze legate al cambiamento di uso del suolo e alla trasformazione del paesaggio bloccano le autorizzazioni – spiega Ezio Terzini, responsabile della divisione Enea Fotovoltaico e smart devices – I sistemi agrivoltaici possono quindi rappresentare una valida risposta e per incoraggiarne la diffusione è necessario sviluppare soluzioni tecnologiche innovative e criteri di progettazione e valutazione delle prestazioni degli impianti».
Un punto sul quale anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza insiste molto: il Pnrr prevede investimenti per 1,1 miliardi di euro sull’agrivoltaico, una capacità produttiva di 2,43 GW, con benefici in termini di riduzione delle emissioni di gas serra (circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2) e dei costi di approvvigionamento energetico.
Del resto anche il sistema agroalimentare deve affrontare i temi della decarbonizzazione, della sostenibilità e della competitività, e in questo contesto «l’agrivoltaico può rappresentare una nuova opportunità per gli agricoltori tramite modelli win-win che esaltino le sinergie tra produzione agricola e generazione di energia», aggiunge Massimo Iannetta, responsabile della divisone Enea di Biotecnologie e agroindustria.
Secondo uno studio Enea-Università cattolica del Sacro cuore di Piacenza, pubblicato sulla rivista scientifica Applied Energy, le prestazioni economiche e ambientali degli impianti agrivoltaici sono simili a quelli degli impianti fotovoltaici a terra, soprattutto se si utilizzano tensostrutture per limitare l’impiego di acciaio e cemento: il costo dell’energia elettrica prodotta risulta essere di circa 9 centesimi di euro per kWh, mentre le emissioni di gas serra ammontano a circa 20 g di CO2eq per megajoule di elettricità. «Ma i valori aggiunti sono rilevanti – sottolinea Alessandro Agostini, ricercatore Enea tra i co-autori dello studio – in quanto alcune tipologie di installazioni agrivoltaiche (es. pannelli a 5 m di altezza, ricorso a tensostrutture) incidono in misura relativamente limitata sul consumo di suolo rispetto agli impianti a terra e, in specifiche condizioni ambientali (es. stress idrici), possono permettere di conseguire un aumento della resa di alcune colture in quanto l’ombra generata dagli impianti agrivoltaici, se ben calibrata, riduce la temperatura del suolo, e il fabbisogno idrico delle colture. In specifici contesti, l’agrivoltaico può contribuire ad aumentare la resilienza del settore agroalimentare rispetto agli impatti del cambiamento climatico e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030».
Certo, questo non significa che l’agrivoltaico possa trovare applicazione ovunque, sui campi italiani. Come precisano dall’Enea occorre infatti valutare i potenziali impatti dell’agrivoltaico sotto diversi punti di vista, includendo i servizi ecosistemici associati ai sistemi agrari integrati con la produzione di energia e gli impatti ambientali e paesaggistici associati a tutto il ciclo di vita delle infrastrutture associate a questi impianti. Su questi temi è fondamentale il ruolo della ricerca scientifica a supporto delle decisioni politiche, rispetto allo sviluppo economico associato all’industria delle energie rinnovabili.
«Il rischio – conclude Michele Perniola, presidente della Società italiana di agronomia, tra i soggetti inclusi nel network Enea – è che una diffusione decontestualizzata di questi impianti porti di fatto a un cambio di destinazione d’uso di terreni agricoli, dal momento che la produzione di energia oggi permette redditi ben superiori alle coltivazioni, in quanto nella valutazione economica non vengono contabilizzati servizi ecosistemici, inclusi la qualità del paesaggio e del suolo, di cui la società beneficia senza che questi siano remunerati ai produttori».