Ecco come superare l’import di gas russo, che finanzia la guerra in Ucraina

Ai costi attuali l’Italia stacca un assegno da 29 mld di euro l’anno al regime di Putin, una dipendenza che è possibile spezzare con investimenti in rinnovabili e risparmio energetico

[3 Marzo 2022]

La sanguinosa guerra che la Russia sta conducendo in Ucraina è un affare molto costoso, che paradossalmente stiamo in larga parte finanziando noi europei a causa della dipendenza da gas e petrolio, che non solo mina l’impegno contro la crisi climatica in corso ma ci espone a una cronica debolezza sul fronte geopolitica.

L’economista ambientale Simone Tagliapietra stima che, ai prezzi attuali, gli Stati europei – con l’Italia in prima fila – stiano pagando ogni giorno alla Russia 500 mln di euro per acquistare gas, e altri 300 per comprare petrolio. Un foraggiamento che sostiene da molti anni ormai l’autocrazia di Putin.

Come dettaglia il nuovo rapporto firmato dal think tank Ecco, nella decade tra il 2010 e il 2019 l’Italia ha speso in media 17 mld di euro l’anno per rifornirsi di gas, soldi versati prevalentemente alla Russia: «Utilizzando i prezzi sul mercato italiano del giorno prima del gas, la quota annuale di importazioni di gas russo può essere stimata a oltre 6 miliardi di euro per gli anni pre-Covid mentre il valore supera i 29 miliardi di euro a costi attuali».

Non c’è da star sereni neanche a guardare gli altri Paesi dai quali dipendiamo per l’import di gas, un combustibile fossile che ancora oggi soddisfa il 40% circa della nostra domanda primaria di energia. Secondo i dati forniti dal ministero dello Sviluppo economico, solo nell’ultimo anno l’Italia ha consumato 76,12 miliardi di metri cubi di gas naturale, dei quali 3,3 prodotti in Italia e il resto importato: 29,9 mld di metri cubi sono arrivati dalla Russia, 22,6 dall’Algeria, 7,2 dall’Azerbaijan, 6,8 dal Qatar, per fermarsi ai fornitori principali.

«L’obiettivo strategico prioritario dell’Italia deve essere quello di affrancarsi dal gas», sottolineano nel merito da Ecco. Come? Investendo su rinnovabili ed efficienza energetica, anche perché «l’incremento di gas nazionale non rappresenta una soluzione né impattante né sostenibile. L’incremento di meno di 2 miliardi di metri cubi all’anno, previsto dal piano del Governo, corrisponde al 6% delle importazioni di gas russo. Inoltre, ha costi di estrazione molto più elevati e richiede un ingente intervento fiscale a carico di tutti per calmierare i prezzi. Il gas nazionale “meno caro” non esiste».

Che fare dunque? Ecco ha realizzato uno scenario in cui si può «sostituire nell’arco di un anno l’equivalente del 50% delle importazioni di gas russo», equivalente a un risparmio di 14,5 miliardi di euro l’anno a costi attuali. «Facendo leva in parallelo sul pieno sfruttamento delle infrastrutture a gas esistenti, l’Italia – continua il think tank – riuscirebbe a gestire l’interruzione del gas russo nel corso dell’anno. La capacità complessiva di stoccaggio in Italia arriva a quasi 18 miliardi di metri cubi (dati Arera), equivalenti da soli alla metà delle importazioni russe medie degli ultimi 5 anni. I gasdotti “non russi” di Passo Gries, Mazara del Vallo e Gela sono largamente sottoutilizzati (16%, 24% e 45% rispettivamente nell’anno termico pre-Covid 2019-2020, dati Arera) con una capacità aggregata annuale di trasporto di oltre 100 bcm, a cui si aggiungono altri 10 bcm del gasdotto Tap. Il grado di utilizzo dei rigassificatori in Italia (Rovigo, Livorno e Panigaglia) ha ancora un margine di aumento di circa il 20% rispetto all’utilizzo del 2020 (dati Arera) e una capacità aggregata annuale disponibile di circa 20 bcm».

Questo per quanto riguarda, nell’immediato, la sostituzione del gas russo con altro gas, senza vincolarci alla costruzione di nuove infrastrutture che richiederebbero poi di essere adeguatamente remunerate nel tempo. Ma la soluzione strutturale al problema passa solo da rinnovabili, efficienza e risparmio energetico, con la possibilità concreta di iniziare da subito a godere i benefici di questo sforzo collettivo.

Ad esempio, abbassare di 1 solo grado il riscaldamento nelle nostre case permette un risparmio di circa il 7% di gas; tagliare di 2°C le temperature, in questa fase di emergenza, significa invece ridurre i consumi di gas per 4 miliardi di metri cubi, più del doppio del potenziale promesso dalle nuove trivellazioni. Al contempo, la più grande associazione confindustriale del comparto elettrico nazionale – Elettricità futura – assicura che le imprese di settore sarebbero in grado di installare impianti per 20 GW l’anno per produrre elettricità da fonti rinnovabili, e questo secondo Ecco determinerebbe una riduzione dei consumi gas di circa 5 miliardi di metri cubo anno: «Per questo è indispensabile lo sblocco immediato delle autorizzazioni, bloccate da anni dalle procedure amministrative».

Un salto energetico e culturale che gli italiani sembrano sempre più disposti ad accettare: un nuovo sondaggio di prossima pubblicazione, condotto da YouGov per More in Common e curato per l’Italia da Ecco, mostra che la maggior parte (56%) degli italiani, su tutto l’arco politico, è pronta a cessare gradualmente o immediatamente l’uso del gas.