Presentato a Roma il Libro bianco delle proposte
Ecofuturo: la green economy vale per l’Italia 200 miliardi di euro, ma servono gli impianti
«Libertà dei territori di decidere ma divieto di non decidere»
[18 Marzo 2015]
Uno spreco di energia e materie prime opprime le possibilità dell’economia italiana, mentre intervenire con forza per aumentare l’efficienza e l’efficacia di questi elementi fondamentali in ogni processo produttivo potrebbe portare al sistema-paese risparmi quantificabili in 200 miliardi di euro. È questo l’assunto fondamentale attorno al quale ruota il Libro bianco di Ecofuturo, presentato oggi a Roma e promosso dagli organizzatori dell’omonimo Festival; un corposo documento che tratteggia le sue proposte soprattutto all’interno della dimensione delle strategie energetiche, ma che pure spazia dalla depurazione dell’acqua ai dragaggi sostenibili, fino alle modalità di trattamento dei rifiuti sanitari e altri temi ancora.
«I decisori politici, a parte lodevoli eccezioni – si legge nel Libro bianco – non colgono che ora ecologia è anche e finalmente economia, e che assumendo decisioni coerenti, facendo piccole e mirate modifiche legislative e regolamentari possono “cambiare il verso” dell’economia e del budget da crisi a rinascita».
Per molti anni «la scienza si è dovuta inchinare alla monocultura del petrolio», ma oggi condizioni e prospettive economiche (oltre che culturali) sono radicalmente cambiate rispetto ai decenni passati, e da questo è possibile trarre concreto vantaggio. «Le eco-tecnologie vengono messe a punto e commercializzate in continuazione, crollano i prezzi come è avvenuto per il fotovoltaico (in meno di 10 anni calato dell’800%), con il petrolio che invece, negli stessi 10 anni è aumentato vertiginosamente aumentando del 500%».
E proprio sulla diffusione delle tecnologie verdi Ecofuturo punta per aumentare risparmi e produttività, stimando per il contesto italiano «oltre 100 miliardi di euro di risparmi possibili nelle abitazioni, con un incremento occupazionale pari alla perdita di posti di questi ultimi anni di crisi; il settore dei trasporti pubblici e privati può fare economie per almeno 20 miliardi l’anno; il settore dei rifiuti urbani, sanitari e speciali 20 miliardi; il settore della distribuzione e della depurazione del ciclo idrico altri 20 miliardi; il settore dell’energia rinnovabile ha margini da 50 miliardi». In tutto, più di 200 miliardi di euro.
L’applicazione diffusa delle tecnologie verdi sul territorio italiano, si argomenta nel testo, determina nel complesso «un risparmio nel sistema pubblico e nel sistema privato, una ripresa di competitività per le nostre aziende grazie alla riduzione dei costi energetici e una penetrazione dei mercati grazie alla innovazione. Il flusso complessivo nell’impatto con il Pil è probabilmente neutro tra la perdita di valore del minor consumo di idrocarburi e il maggior introito dai nuovi investimenti ma l’aumento dei posti di lavoro è certamente importante e l’autonomia e la sicurezza strategica energetica risultano molto maggiori».
Possibilità che si aprono, certo, ma la cui fattiva realizzazione passa dalla volontà politica – e civile – di investirvi davvero, con la consapevolezza di una scelta da compiersi. Perché la sfiducia diffusa (e ahinoi giustificata) della cittadinanza sparsa per lo Stivale arriva sempre più a colpire anche quegli impianti e quelle infrastrutture che sole possono contribuire fattivamente alla realizzazione compiuta della green economy italiana, sul territorio e non solo in astratto.
Si prenda ancora una volta il settore dell’energia, per una riflessione che varrebbe anche in altre, molteplici declinazioni (a partire da quelle inerenti il mondo dei rifiuti e della loro gestione). «Oggi la contestazione per oltre il 90% delle vertenze aperte sul territorio – argomentano da Ecofuturo – è rivolta al contrasto alla realizzazione di nuove tecnologie ed impianti. Ogni kw di risparmio mancato e ogni kw di energia non prodotta da una delle innumerevoli proposte rinnovabili è un kw prodotto dalle fonti fossili o nucleari con ricadute incomparabilmente più gravi di qualsivoglia energia rinnovabile».
La green economy può essere dunque solo il frutto di una scelta, nella consapevolezza delle sue conseguenze. La libertà dei territori è quella di decidere ma – si chiosa nel Libro bianco –, per il bene del Paese deve vigere il «divieto di non decidere».