Eolico: in Italia benefici per 800 milioni di euro nel 2014, ma il governo vuole tagliare

[12 Giugno 2015]

Come sta l’eolico italiano dopo la chiusura del primo triennio di funzionamento di aste e registri per promuovere la diffusione di quest’energia rinnovabile sul territorio? Anche di fronte a questo quesito, al pari di tutti i temi complessi, la risposta è molto semplice: dipende.

Quel che è certo, come ha illustrato il Ceo di Althesys Alessandro Marangoni, durante il convegno organizzato da Anev per la Giornata mondiale del vento, è che «le energie rinnovabili nascono per obiettivi ambientali, ma comportano una serie di effetti positivi. Il comparto eolico, in particolare, nel 2014 ha generato ricadute economiche per più di 800 ml di euro in termini di valore aggiunto e indotto, 3.400 occupati e 7,7 milioni di ton di CO2 evitate. Al 2030, in uno scenario di crescita moderato, Althesys stima ricadute complessive per 24 miliardi di euro, con più di 4.300 occupati diretti e indiretti, 4,8 miliardi versati all’erario per imposte sui redditi e 221 milioni di ton di CO2 evitate».

Dunque, l’eolico italiano sta bene? Non esattamente. Attualmente, da “costo” l’energia dal vento si sta gradualmente trasformando in beneficio netto per il sistema, e la stessa Terna ha investito – come confermato al convegno Anev – importanti risorse, «sviluppando la Rete e sperimentando tecnologie innovative». Oggi la prima minaccia, come di consueto, arriva dalla miopia e dalla volubilità della produzione legislativa: lo schema di decreto ministeriale per l’incentivazione delle fonti rinnovabili non fotovoltaiche (eolico compreso) minaccia di sparigliare le carte in tavola. Per l’eolico, il mini in particolare viene penalizzato, e praticamente cancellata l’opzione off-shore, che fa invece bella mostra di sé nei mari che lambiscono le coste del nord Europa.

«La bozza del nuovo decreto – spiega Simone Togni, presidente dell’Anev – risulta essere contraddittoria e lesiva degli interessi del Paese anche rispetto agli obiettivi assunti al 2020 e quelli in fase di definizione al 2030. Il testo propone infatti importanti tagli agli incentivi per l’eolico, che ne ridimensionano consistentemente le prospettive di crescita e sviluppo, contrariamente, per altro, a quanto preannunciato per il Green Act, che dovrebbe puntare a rilanciare le politiche ambientali». Secondo quanto ricordato oggi dagli Stati generali della green economy, «il meccanismo delle aste per l’eolico ha prodotto un sostanziale arresto del settore: la nuova potenza di eolico è passata da oltre 1.200 MW del 2012 a poco più di 100 MW nel 2014», e la bozza di decreto prodotta dal governo si annuncia dunque come una nuova mazzata.

«L’eolico – rincara la dose  Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyotoclub – ha svolto un ruolo trainante sino a quando la complicazione delle regole ha imposto una busca frenata». Eppure, se le rinnovabili oggi non sono più la nicchia in cui le si voleva confinare (il contributo alla produzione di elettricità arriva oltre il 40%), il merito è anche dell’eolico, che «ha svolto un ruolo trainante sino a quando la complicazione delle regole ha imposto una busca frenata. Oggi siamo in presenza di un nuovo attacco, perché la proposta di decreto del Governo non solo penalizza l’eolico, e in particolare quello mini dove iniziava a svilupparsi una filiera interamente italiana, ma non risolve nessuno dei problemi connessi al mal funzionamento delle aste e dei registri». Un motivo in più per cambiare un decreto che, fin dalla sua prima bozza, non ha mai convinto.

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