Ex Ilva, a Taranto torna l’acciaio di Stato: saprà essere anche sostenibile?
La transizione energetica richiederà un grande quantitativo di metalli e la siderurgia è chiamata a dare il suo supporto puntando a sua volta alla carbon neutrality entro il 2050
[11 Dicembre 2020]
Invitalia e ArcelorMittal hanno firmato un accordo vincolante per aprire «una nuova fase di sviluppo ecosostenibile dell’Ilva di Taranto», che passa da un ritorno dello Stato italiano nella più grande acciaieria d’Europa dopo il periodo che si è concluso nel 1995 con il passaggio ai privati del gruppo Riva: entrambe fasi di certo non esaltanti, dal punto di vista degli impatti ambientali.
In particolare, l’accordo prevede un aumento di capitale di AmInvest Co. Italy Spa (la società in cui ArcelorMittal ha già investito 1,8 miliardi di euro e che è affittuaria dei rami di azienda di Ilva in as) per 400 milioni di euro, che darà a Invitalia il 50% dei diritti di voto della società; a maggio del 2022, un secondo aumento di capitale che sarà sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di Arcelor Mittal, traghetterà verso l’assetto finale dell’ex Ilva. Al termine dell’operazione Invitalia sarà l’azionista di maggioranza con il 60% del capitale della società, avendo Arcelor Mittal il 40%.
Di positivo – ma da verificare sul campo – c’è che l’accordo prevede, nell’arco del piano, il completo assorbimento dei 10.700 lavoratori impegnati nello stabilimento.
Secondo lo Stato l’obiettivo finale è quello di «trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio “green” in Europa». Il come resta però un grande interrogativo. Invitalia si limita ad accennare al fatto che «’accordo contiene un articolato piano di investimenti ambientali e industriali. Sarà tra l’altro avviato il processo di decarbonizzazione dello stabilimento, con l’attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate l’anno», con ArcelorMittal ad aggiungere che «il piano industriale mira a raggiungere 8 milioni di tonnellate di produzione nel 2025».
Ambizioni che dovranno però misurarsi con un mercato siderurgico che sta vivendo una fase a dir poco complicata. Dopo anni di difficoltà si è aggiunta la pandemia di Covid-19, con l’industria siderurgica europea nel periodo da marzo a ottobre ha avuto un calo della produzione del 17% e un meno 28% della forza lavoro impiegata.
Non che di acciaio non ne servirà, nei prossimi anni. Anzi, l’approvvigionamento sostenibile di materie prime sarà fondamentale per sostenere la transizione energetica, tanto che a livello internazionale secondo la Banca mondiale serviranno a questo scopo circa 3 miliardi di tonnellate di minerali e metalli. L’Ue dipende eccessivamente dall’estero per l’import di materie prime, e non a caso ha recentemente lanciato una strategia per colmare questo pesante gap. Ma il versante dell’acciaio resta particolarmente scivoloso: per risalire la china occorre sapere fare sistema.
A livello europeo questo significa lavorare all’introduzione di una carbon tax alle frontiere continentali, in modo che l’acciaio Ue non venga spiazzato da quello più inquinante ma meno costoso prodotto altrove, in primis in Cina. Al proposito l’European steel association (Eurofer) ha già sottolineato l’ambizione di ridurre le emissioni di CO2 legate alla produzione di acciaio continentale del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2018 – o del 55% rispetto al 1990 – e di avvicinarsi alla carbon neutrality entro il 2050.
Ma occorre fare sistema anche lungo la filiera siderurgica nazionale, e la presenza dello Stato nell’ex Ilva potrebbe (e dovrebbe) facilitare un percorso simile, tenendo conto delle varie altre realtà in cerca di rilancio a livello nazionale (una su tutte, l’ex Lucchini di Piombino). E non solo sul versante emissivo ma anche su quello altrettanto centrale dell’economia circolare – le acciaierie da forno elettrico sono dei formidabili impianti di riciclo che però a loro volta esitano nuovi scarti da gestire, riciclare e smaltire – e più in generale della politica industriale di settore. Come abbiamo più volte sottolineato su queste pagine, nessuno oggi può vincere la partita dell’acciaio da solo.
L. A.