Fiat, Marchionne, Italia: che confusione di ruoli e di idee!
[14 Gennaio 2014]
Se si trattasse di una qualsiasi grande multinazionale e non della Fiat e di un qualsiasi grande paese industriale e non dell’Italia, potremmo limitarci a commentare l’intervista di Sergio Marchionne rilasciata a Ezio Mauro di La Repubblica il 9 gennaio scorso, sottolineando i molti spunti di interesse che essa contiene. Ne citiamo almeno tre.
Il primo riguarda il dinamismo e soprattutto la confermata centralità dell’economia americana, che non è solo un risultato della storia ma anche di un atteggiamento e di una disponibilità culturale al cambiamento che non ritroviamo in Europa.
Il secondo elemento di riflessione è fornito dal ruolo decisivo che la politica industriale ha avuto nel sostenere il percorso di ristrutturazione di Chrysler. Marchionne dice esplicitamente che si è trattato di una situazione per molti aspetti eccezionale: “un’occasione così si presenta una volta sola nella vita: non accadrà mai più”. Resta il fatto che, pur senza “nazionalizzazioni”, l’intervento del governo è stato pesante, determinato, privo di pregiudizi novecenteschi (nessun problema a sostenere un salvataggio a guida estera), ma coronato da successo.
Il terzo elemento riguarda la definizione, anche sul piano identitario, della nuova azienda. Vengono meno certi luoghi comuni secondo i quali qualcuno conquista qualcun altro e che ora suggeriscono dopo tanti vittimismi sulle imprese italiane espugnate da voraci capitalisti stranieri, la buffa immagine di un’Italia all’assalto degli States. A tali banalità si contrappone una visione decisamente più moderna e più sinceramente globale di una impresa nuova, che nasce non solo dall’addizione di impianti produttivi e reti di vendita, ma dall’integrazione delle storie industriali e dei patrimoni di conoscenza. Un’impresa che al tempo stesso è capace di valorizzare nella identità dei singoli prodotti le diverse componenti nazionali (la jeep americana vs. la Maserati o l’Alfa Romeo italiana).
Stiamo invece parlando di Fiat e di Italia… Quindi non ci sorprende la confusione di ruoli e di idee che rivelano molte delle letture date a questa intervista. Da una parte c’è la tentazione di avviare una discussione “a spanne” sulle strategie di un’industria automobilistica. Ci casca persino una persona attenta come il segretario della Fiom Landini, che arriva a suggerire una valutazione delle scelte Fiat come errate perché dissonanti da quelle di altri grandi gruppi. Opinione legittima, ma discutibile: le strategie di impresa vincono quando sono “distintive”, non convergenti.
Dall’altra parte, c’è il riflesso condizionato di attribuire alla Fiat compiti di politica industriale nazionale. In questa luce, non v’è dubbio che il racconto di una prassi aziendale, quella dei “capannoni fantasma”, assuma un tono assai sinistro. Sarebbe invece ora di smettere questi scambi di ruoli, incompatibili con le dinamiche dell’economia globale. La Fiat sta facendo impresa. A quando il momento in cui le nostre istituzioni riprenderanno a fare politica industriale?