Nel Paese consumiamo ogni anno circa 500 milioni di ton di materiali
Flussi di materia, ecco come l’economia italiana grava sulle risorse naturali di altri Paesi
Istat: «La tendenza alla sostituzione delle risorse prelevate dal sistema naturale del nostro Paese con risorse e prodotti provenienti dall’estero implica il trasferimento ai paesi di origine delle pressioni ambientali»
[9 Luglio 2021]
I flussi di materia che attraversano l’Italia, ovvero l’uso di risorse materiali che caratterizza il metabolismo socioeconomico, mostra assai meglio delle dinamiche economiche – come quelle registrate dal Pil – come un Paese si inserisce nei cicli naturali: nel nostro caso, gravando pesantemente sulle risorse naturali di altri Stati, come mostra in dettaglio il Rapporto su economia e ambiente pubblicato dall’Istat.
Un metabolismo socioeconomico ecologicamente sostenibile è uno che rispetta e copia per quanto possibile la circolarità, e il ricorso esclusivo all’energia rinnovabile anziché a quella fossile, che sono proprie degli ecosistemi, riconducendosi a dimensioni e qualità dei flussi materiali compatibili con i confini planetari.
Per misurare questa sostenibilità un parametro di grande importanza è il Dmc (Domestic material consumption), che sostanzialmente rappresenta l’insieme dei materiali che in un anno, dopo essere stati estratti o importati e trasformati in Italia, non vengono esportati: restano qui, sotto forma di prodotti più o meno durevoli – dal monouso agli edifici – per poi essere gestiti come scarti.
L’andamento del Dmc italiano mostra molti alti e bassi nell’ultimo mezzo secolo. Guardando alla sola estrazione interna di materiali dal territorio italiano (costituita quasi esclusivamente da minerali non energetici e biomasse), si passa da 189 milioni di tonnellate (Mt) nel 1951 a 600 Mt nel 1973, e rimane superiore al mezzo miliardo di tonnellate fino al 2006; crolla tra il 2008 e il 2012, in corrispondenza della crisi economica, per stabilizzarsi poco sopra i 300 Mt negli anni più recenti (321 Mt nel 2018).
All’estrazione interna, nei flussi di materia italiani si aggiunge con un ruolo assai rilevante l’importazione di risorse naturali – con la netta preponderanza dei combustibili fossili, oggi attorno al 55% –, che aumenta molto rapidamente nella fase di crescita rapida degli anni 50 e 60, per poi raddoppiare ancora tra il ’74 e il 2004. Anche l’import accusa un forte calo nel periodo di doppia recessione iniziato nel 2008, scendendo sotto i 300 Mt nel 2014, ma segna un recupero negli ultimi anni tornando sopra questa soglia. Complessivamente il Dmc italiano si attesta così poco sotto le 500 Mt (8,1 ton/anno procapite nel 2018).
Tutto questo, come spiega l’Istat, comporta «l’aumento progressivo dell’importanza relativa dell’impiego di materiali provenienti dall’estero nel soddisfacimento del fabbisogno di materiali dell’economia nazionale».
In altre parole guardando al throughput – ovvero l’insieme dei flussi di materia che attraversano un sistema economico, misurato come la somma dei materiali estratti dal territorio nazionale e delle importazioni – l’import è sempre più rilevante: nel 2008 arrivata a coprire il 40% del throughput italiano, mentre nel 2018 ha superato il 50%.
«La tendenza alla sostituzione delle risorse prelevate dal sistema naturale del nostro Paese con risorse e prodotti provenienti dall’estero implica il trasferimento ai paesi di origine delle pressioni ambientali generate da prelievo e realizzazione dei prodotti», spiegano dall’Istat: dunque l’Italia ha una responsabilità diretta per impatti ambientali che teoricamente le appartengono, ma in realtà subiscono altri territori.
Una responsabilità condivisa col resto d’Europa, dove anzi l’Italia rappresenta uno dei Paesi con le performance migliori in termini di flussi di materia. Nel 2019 il Dmc dell’Ue27 è stato infatti pari a circa 6,3 miliardi di tonnellate, vale a dire 1,6 miliardi di tonnellate in più dell’estrazione interna; il Dmc procapite era di 14,2 tonnellate, con punte di oltre 30 tonnellate per Estonia e Finlandia, livelli di 14,8 tonnellate per la Germania e 11,5 per la Francia. Il nostro Paese presenta il valore in assoluto più basso, con 8,1 tonnellate, mentre quello della Spagna è di 8,8 tonnellate.
Anche sotto il profilo della performance economica ottenuta a partire dai flussi di materia l’Italia mostra di saper fare di necessità virtù, muovendosi lungo la strada del disaccoppiamento.
L’intensità di risorse – o “densità materiale” – delle attività economiche, misurata come Dmc/Pil, è migliorata nel corso del tempo: per produrre un milione di euro di Pil, nell’Italia del 2007 servivano 480 ton di materia, diventate 305 nel 2013 e 283 nel 2017. Di certo resta molto da migliorare: basta guardare all’indice di circolarità italiano, assai insoddisfacente pur essendo uno dei migliori d’Europa, e pari ad appena il 17,7%.