Geotermia, ecco come sono cambiate le emissioni climalteranti e inquinanti dal 1990
Ispra: in Italia la produzione di elettricità da questa fonte rinnovabile è quasi raddoppiata, mentre le emissioni di mercurio e ammoniaca sono crollate
[28 Giugno 2021]
La geotermia è una fonte energetica rinnovabile ma, come ogni altra, non è a impatto zero; in particolare, tra le esternalità negative dovute alla sua coltivazione spiccano le emissioni in atmosfera, che mostrano però un robusto miglioramento negli ultimi trent’anni come mostrano i dati raccolti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
Attraverso due nuovi report – l’Italian greenhouse gas inventory 1990-2019 e l’Italian emission inventory 1990-2019 –, l’Ispra si concentra sia sulle emissioni di inquinanti sia di gas climalteranti legati alla produzione di elettricità da geotermia, approfondendo i parametri più significativi.
A partire da quelli legati alla produzione di energia, perché gli impatti negativi dell’attività geotermoelettrica vanno contestualizzati insieme ai benefici: nel 1990 la geotermia forniva 3.222 GWh di elettricità, mentre nel 2019 il dato era cresciuto fino a 6.075 GWh. Quasi un raddoppio, che ha permesso di risparmiare un corrispettivo impiego di combustibili fossili (e le conseguenti emissioni di gas serra) impiegando al loro posto una fonte rinnovabile autoctona.
Tutti gli impianti geotermoelettrici ad oggi attivi in Italia impiegano infatti fluidi naturalmente presenti nel sottosuolo di alcune aree della Toscana, dove questa fonte rinnovabile è impiegata a fini industriali da oltre due secoli: un primato mondiale.
Per quanto riguarda in particolare le emissioni inquinanti legate a tale attività, l’Ispra si concentra sull’ammoniaca (NH3) e sul mercurio (Hg). Queste ultime sono passate dalle 3,4 Mg osservate nel 1990 alle 0,43 Mg del 2019: il 7% delle emissioni nazionali di mercurio (6,49 Mg). «Una riduzione dell’87% rispetto al 1990 dovuta – spiega l’Ispra – all’introduzione di sistemi di controllo e abbattimento (Amis, ndr) negli impianti di produzione».
Osservando invece le emissioni di ammoniaca imputabili all’attività geotermoelettrica, l’Ispra mostra che il dato passa dai 8,4 Gg del 1990 ai 2,9 Gg del 2019, ovvero lo 0,8% delle emissioni nazionali di ammoniaca (354,7 Gg, 335 dei quali dovuti ad agricoltura e allevamenti). Anche in questo caso, le emissioni dovute alla produzione geotermoelettrica «sono diminuite a causa dell’introduzione di sistemi di controllo e abbattimento negli impianti di produzione».
Riassumendo, mentre la produzione di elettricità da geotermia è quasi raddoppiata negli ultimi trent’anni, le collegate emissioni inquinanti sono crollate grazie agli investimenti nell’innovazione tecnologica.
Passando ai gas climalteranti, l’Ispra precisa che i fluidi geotermici possono contenere, a seconda dei siti di coltivazione, importanti gas serra come CO2 e CH4 oltre a gas minori come H2S, H2, NH3 e N2. «Dato che la geotermia è una fonte rinnovabile – argomenta l’Ispra – viene considerata carbon neutral, dunque mentre le emissioni di CO2 non vengono contabilizzate, mentre quelle di CH4 vengono esaminate».
In questo caso il dato mostra un peggioramento nel corso del tempo: si passa dai 191 Gg (in termini di CO2 equivalente) del 1990 ai 541 del 2019, comunque una frazione piccola rispetto al totale di emissioni fuggitive di metano contabilizzate dall’Ispra nel corso dello stesso anno (7.507 Gg CO2eq). «Le emissioni fuggitive di metano dall’estrazione di energia geotermica mostrano un incremento rilevate dal 1990 (+184%) come risultato – spiega Ispra – dell’incremento del fattore di emissione (+50,7%) dovuto all’entrata in opera di impianti più grandi con maggiori valori di flusso».
Qual è dunque il bilancio climatico della produzione geotermoelettrica italiana, confrontando costi e benefici? L’Ispra in questa sede non si sofferma sul tema, ma l’Agenzia europea dell’ambiente ha già documentato che l’impiego di questa fonte rinnovabile offre vantaggi sensibili sul fronte della riduzione delle emissioni sia climalteranti, sia inquinanti; una prospettiva avvalorata anche dal Gestore dei servizi energetici (che stima risparmi pari 3,7 mln ton/anno di CO2eq guardando alla produzione di elettricità da geotermia in ottica Lca) come anche dalle indicazioni Ipcc (la massima autorità scientifica al mondo sul cambiamento climatico) o dalle ricerche condotte in Toscana dall’Università di Siena.
Non a caso la provincia di Siena, dove il 92% dell’elettricità prodotta arriva dalla geotermia, è la prima area vasta d’Europa ad essere certificata carbon neutral. Si tratta di un obiettivo che l’Italia e l’Europa intera sono chiamati a raggiungere entro il 2050, mentre qui rappresenta un risultato consolidato già dal 2011.
Come riassumono nel merito proprio dall’Alleanza territoriale carbon neutrality Siena, sostenuta tra gli altri dall’Ateneo cittadino, le emissioni di CO2 dovute alla coltivazione geotermica «possono essere viste come una parte dei cicli che includono vulcani e fenomeni simili, i quali possono avvenire in modo causale e improvviso o seguire un trend più continuo. Poiché tali emissioni fanno parte di processi naturali, la CO2 prodotta dalle centrali geotermoelettriche è compensata da una riduzione delle emissioni naturali da siti geotermici».