Cobat: «Approvano leggi di cui non sono in grado di controllarne l’applicazione»

Governo e Parlamento i «complici inconsapevoli» dell’ecomafia all’italiana

Muroni (Legambiente): «Non solo norme repressive, bisogna anche favorire e difendere le imprese sane e l'economia circolare»

[3 Luglio 2017]

Il volume Ecomafia 2017 di Legambiente, edito da Edizioni Ambiente con il sostegno di Cobat e Novamont, è stato presentato oggi a Roma alla Camera e Deputati per spiegare «le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia». Le cifre presentate si mostrano impressionanti: nel 2016 i reati ambientali accertati delle forze dell’ordine e dalla Capitaneria di porto sono stati 25.889, comunque meno dei 27.745 del 2015: una flessione del 7%. Al primo posto ci sono i reati contro gli animali (5.942) seguiti dal macroambito “rifiuti” (5.722), ma allargando il campo d’osservazione è il settore agroalimentare a far saltare il banco: «Nel corso del 2016 ci sono stati 33.000 illeciti amministrativi e più di 7.000 illeciti penali, portando alla denuncia di oltre 18.000 soggetti».

Numeri tanto alti da esporre a vertigini. È possibile individuare un filo rosso che possa unirli, spiegarli? Da una parte, Legambiente mette in evidenza la corruzione, un fenomeno che «continua ad essere un fenomeno dilagante nel Paese». Dall’altra, il Cigno verde nota però con sollievo come i numeri dell’ecomafia sembrino pian piano calare: «A soli due anni dall’entrata in vigore della legge sugli ecoreati, nel complesso diminuiscono gli illeciti ambientali e il fatturato delle attività criminali contro l’ambiente». Nel 2015 la legge 68/2015 ha difatti inserito nel codice penale i delitti ambientali: possibile che inasprire il cappio giudiziario contro gli ecocriminali (o i presunti tali) sia riuscito a innescare un effetto deterrente tanto potente, quand’anche la pena di morte – come ormai unanimemente riconosciuto – non riesce a frenare il crimine, dove in vigore? Difficile da immaginare, tanto più che a fronte delle migliaia di reati inseriti alla voce “ecomafia”, nell’intero 2016 la «legge 68/2015 ha consentito di sanzionare 574 ecoreati», e nel 70% dei casi è scattato il «meccanismo di estinzione dei reati contravvenzionali minori (secondo quanto previsto dalla parte Sesta bis del Dlgs 152/2006)». Perché dunque l’ecomafia è data in calo?

«Nel 2016 il fatturato delle ecomafie scende a 13 miliardi registrando un -32% rispetto allo scorso anno, dovuto soprattutto – aggiunge difatti Legambiente – alla riduzione della spesa pubblica per opere infrastrutturali nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso e al lento ridimensionamento del mercato illegale». Se tale “ridimensionamento” non può che essere osservato di riflesso, non essendoci naturalmente una statistica precisa del Pil illegale, il calo degli investimenti pubblici in Italia è invece un dato certificato da ultimo anche dalla Corte dei conti. Al contempo però, è facile immaginare come a un calo degli investimenti pubblici siano seguite performance poco soddisfacenti nel campo idrico, dei rifiuti o delle fonti rinnovabili, tutti ambiti dove i servizi pubblici locali sono in prima linea. Se l’ecomafia cala, dunque, dell’immobilismo non c’è molto da rallegrarsi.

Eppure una via d’uscita ci sarebbe, a costi assai ridotti ma dagli enormi benefici potenziali: realizzare un impianto normativo chiaro, semplice, stabile, che possa permettere il dispiegarsi di investimenti sul territorio. Oggi tutto questo in Italia non esiste.

Presentando oggi a Roma Ecomafia 2017, Cobat ha preferito non nascondere quest’amara verità: sugli ecoreati «Governo e Parlamento sono complici inconsapevoli, perché approvano leggi di cui non sono in grado di controllarne l’applicazione». Il consorzio Cobat, che nell’ultimo anno ha avviato a riciclo 140mila tonnellate di materiali tecnologici, è un esempio pratico di come la gestione dei rifiuti (ovvero la seconda voce d’importanza nella classifica dell’ecomafia stilata da Legambiente) non faccia per forza rima con malaffare, ma sia anzi un’esigenza imprescindibile per chiunque punti ad un’economia circolare.

Si tratta di un problema acuto nel nostro Paese, che non ha a che fare “soltanto” con l’ambiente. «L’eccesso di regolazione e la scarsa qualità della regolazione – ha infatti recentemente spiegato il sostituto procuratore di Roma, Paolo Ielo, intervenendo alla presentazione del report “Termometro della corruzione” – portano all’impossibilità di sapere cosa si può e cosa non si può fare, ciò che è lecito e ciò che è illecito. Talvolta sembra che tutta una serie di provvedimenti legislativi, amministrativi e perfino le sentenze, siano scritte attraverso la logica del ‘rendere difficile il facile attraverso l’inutile’».

Anche da Legambiente hanno tenuto a sottolineare questo punto: «Contro l’ecomafia non solo norme repressive, bisogna anche favorire e difendere le imprese sane e l’economia circolare», ha dichiarato la presidente Rossella Muroni. D’altronde, è stato proprio il Cigno verde pochi giorni fa a denunciare come l’economia circolare italiana abbia a che fare con «una normativa ottusa e miope». Eppure su questo punto progressi non si registrano, mentre è imprescindibile andare di pari passo: inasprire la lotta al crimine senza al contempo lasciare spazio alle imprese per operare nella legalità non fa che dare ulteriore spazio agli odiati ecocriminali – quelli veri.