Siamo all’80esimo posto nella classifica del gender gap
La green economy in Italia è poco rosa
Donne ed economia verde, una sfida (e una risposta) per uscire dalla crisi
[25 Giugno 2014]
Dal convegno “Donne e green economy. La social innovation per cambiare la città”, organizzato nell’ambito delle iniziative “Verso gli Stati generali della green economy” dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, è emerso che «l’uscita dalle crisi economica, sociale e ambientale può venire dalla green economy, ma niente è scontato, né in Europa né nel nostro Paese, e non è detto che l’esito non sia invece più brown. Per vincere questa sfida un elemento decisivo possono essere le donne, protagoniste assolute nelle scelte di acquisto, nell’educazione e formazione in famiglia e fuori, lavoratrici e professioniste in grado di fare la differenza sul lavoro».
La Fondazione per lo sviluppo sostenibile, presieduta dall’ex ministro dell’ambiente Edo Rochi, sottolinea che «In Italia le donne sono responsabili del 66,5% del totale delle scelte di acquisto della famiglia; rappresentano circa l’80% del comparto dell’istruzione; la loro presenza, a maggior ragione in posizioni apicali, fa funzionare meglio uffici e imprese. E’ dunque è innanzitutto a loro che bisognerebbe rivolgersi per dare una spinta alla green economy e influenzare il mercato dei prodotti e servizi più sostenibili».
Il convegno ha messo in risalto le eccellenze delle “imprese green al femminile”, guidate da donne che hanno puntato su un futuro sostenibile e realizzato storie di successo, best practice mondiali, m si tratta purtroppo di eccezioni: secondo il Global Gender Gap Report 2012 del World Economic Forum, che analizza il divario di genere a livello internazionale, assegna all’Italia un umiliante 80esimo posto e, per il primo Environment and Gender Index dell’Iucn pubblicato nel 2013, l’Italia è ultima tra i 16 Paesi dell’Ocse per livello di coinvolgimento e responsabilità delle donne e per l’uguaglianza di genere nel settore ambientale
Con il 49% siamo agli ultimi posti nell’Unione europea (media 62,4%) per numero di donne occupate e, secondo il Rapporto Istat 2013, se per descrivere il 50 per cento dell’occupazione maschile occorrono 51 professioni, ne bastano 18 per dare conto di quella femminile.
«Si chiama segregazione di genere – dicono alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile . E potremmo continuare ancora. Il tema, a questo punto, è come trasformare gli svantaggi in opportunità per affrontare contemporaneamente le crisi ricordate (economica, sociale e ambientale), a beneficio di tutti, cambiando modelli di produzione, di consumo, stili di vita: e chi meglio delle donne può interpretare questo nuovo corso green. La Banca d’Italia calcola che se la percentuale di donne occupate raggiungesse quota 60% come fissato dagli obiettivi di Lisbona, il Pil in Italia salirebbe del 7%. L’Ocse sostiene che se il tasso di occupazione delle donne eguagliasse quello degli uomini, il Pil aumenterebbe fino al 13% nell’eurozona e oltre il 20% in Italia. Per avvicinarci a questi obiettivi, dovremmo attrezzarci in tempo e promuovere una prospettiva di genere verso una green economy, con tutti i vantaggi derivanti dalla presenza femminile, a maggior ragione in posizioni apicali e di responsabilità: non a caso si dice che quello femminile non è un problema delle donne ma dell’economia. E se la green economy fosse la risposta?».