Il Governo ha recepito il pacchetto normativo Ue sull’economia circolare
Importanti novità sulla gestione di veicoli fuori uso, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, imballaggi e discariche
[14 Agosto 2020]
Dopo un esame preliminare a marzo, nell’ultimo Consiglio dei ministri il Governo ha approvato definitivamente quattro decreti legislativi di recepimento di altrettante direttive europee: si tratta del cosiddetto “pacchetto normativo sull’economia circolare” che ha ottenuto il via libera dell’Ue nel 2018 rivoluzionando le prospettive di gestione rifiuti – urbani soprattutto – negli Stati membri, compreso il nostro.
Tra i principali obiettivi previsti dalle direttive europee rientrano ad esempio quello di portare il riciclo dei rifiuti urbani ad almeno il 55% entro il 2025, al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035. In parallelo, è prevista la diminuzione dell’uso delle discariche, dove entro il 2035 dovrà essere conferito al massimo il 10% dei rifiuti urbani prodotti (il che significa al contempo che per la rimanente quota del 25% c’è il recupero energetico).
Andando con ordine, i quattro decreti legislativi approvati dal Governo prevedono: l’attuazione dell’articolo 1 della direttiva (UE) 2018/849, che modifica la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso; l’attuazione degli articoli 2 e 3 della direttiva (UE) 2018/849, che modificano le direttive 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche; l’attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti; l’attuazione della direttiva (UE) 2018/851, che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, e della direttiva (UE) 2018/852, che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.
Proprio questi ultimi due decreti legislativi sono quelli destinati ad avere il maggior impatto sull’economia circolare nazionale, e di conseguenza anche sulla vita dei cittadini.
Come già accennato, ad esempio, l’attuazione della direttiva 2018/850 prevede «la progressiva riduzione del ricorso alla discarica, fino a raggiungere l’obiettivo di un conferimento non superiore al 10% dei rifiuti urbani al 2035, nuovi e uniformi metodi di calcolo per misurare il raggiungimento degli obiettivi, nonché il divieto di collocare in discarica rifiuti provenienti da raccolta differenziata e destinati al riciclaggio o alla preparazione per il riutilizzo, o comunque (a partire dal 2030) idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo». Perché tutto questo non rimanga solo un tratto di penna su carta, il decreto impone di «definire le modalità, i criteri generali e gli obiettivi progressivi, anche in coordinamento con le regioni, per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla direttiva in termini di percentuali massime di rifiuti urbani conferibili in discarica».
Molte le novità in cantiere anche per quanto riguarda le modifiche alla direttiva rifiuti e quella relativa in particolare agli imballaggi, già oggetto di approfondimento da parte del Laboratorio Ref ricerche. Oltre ai già accennati obiettivi di avvio a riciclo individuati per i prossimi 15 anni, le direttive Ue impongono una riforma del sistema di responsabilità estesa del produttore (Epr): ad esempio, si «semplificano le procedure per l’istituzione di nuovi sistemi di Epr e si lascia spazio alla concorrenza tra i diversi operatori. Si assoggetta, inoltre, al regime di responsabilità estesa del produttore qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti». Al contempo si «istituisce un “Registro nazionale dei produttori” per consentire il controllo del rispetto degli obblighi in materia di responsabilità estesa del produttore» e soprattutto si «stabilisce che i produttori corrispondono un contributo finanziario che consenta di coprire i costi della raccolta differenziata»: ad oggi i maggiori oneri della raccolta differenziata ammontano a circa 2 miliardi di euro l’anno, mentre nel corso del 2019 Conai ha trasferito ai Comuni 648 milioni di euro. Secondo l’indagine condotta dall’AgCom nel 2016 l’apporto era ancora minore, affermando che “il finanziamento da parte dei produttori (attraverso il sistema Conai) dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”.
Il recepimento delle direttive Ue rafforza pure il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti – quello vigente sta comunque rispettando i pur deboli obiettivi previsti per gli urbani, mentre i parametri riferiti agli speciali continuano a peggiorare – ,che «conterrà anche misure relative alla prevenzione della dispersione dei rifiuti in ambiente naturale e alla riduzione dello spreco alimentare».
Complessivamente, il recepimento delle direttive Ue sull’economia circolare porta dunque con sé obiettivi sfidanti quanto importanti per un Paese come il nostro, a vocazione manifatturiera ma storicamente carente di risorse naturali: ne metabolizziamo circa 500 milioni di tonnellate all’anno – per circa il 65% importate dall’estero – mentre produciamo oltre 170 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti, con un tasso di circolarità più alto della media Ue ma comunque fermo al 17,1%.
Le direttive Ue appena recepite si incentrano per larga parte sui rifiuti urbani, che costituiscono neanche il 20% di tutti quelli che produciamo (gli imballaggi sono ancora meno, circa l’8%) ma rappresentano la parte più visibile – e dunque sensibile, anche politicamente parlando – dei nostri scarti, nella cui gestione comunque le difficoltà non mancano.
Le normative non bastano senza una loro applicazione coerente sui territori, a partire dalla dotazione impiantistica necessaria per gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità i rifiuti che tutti noi produciamo. Lo stesso Ispra, nel suo ultimo report in materia, mostra come – al netto della crisi economica legata Covid-19, che sta riducendo la produzione di alcuni rifiuti ma porta nuove criticità – i rifiuti urbani siano in crescita da anni mentre gli impianti per gestirli calano, esponendo l’igiene urbana al rischio continuo di crisi.
Recepite le direttive Ue, per uscire da questa prospettiva servono ora investimenti in nuovi impianti, in grado di collegare l’economia circolare alla crescita dei posti di lavoro sul territorio: le logiche Nimby e soprattutto Nimto hanno finora imposto enormi rallentamenti in materia, ma l’occasione di una svolta arriva con il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti previsto nel Testo unico ambientale dal recepimento delle direttive Ue, per individuare in modo omogeneo i fabbisogni impiantistici a livello territoriale. Una prima stima degli investimenti necessari intanto c’è già, stilata congiuntamente dalle principali associazioni d’impresa e sindacati attivi nell’economia circolare: per rispettare i target delle nuove direttive Ue al 2035 sono necessari almeno 10 miliardi di euro. Non un costo, ma investimenti per una migliore qualità di vita, ambientale per e un’accresciuta competitività economica del sistema-Paese: già nel 2025 i benefici attesi per l’Italia in termini risparmio di materie prime valgono 12 miliardi di euro.