Il “reddito di cittadinanza” non è bastato per porre fine alla povertà in Toscana

Sul territorio regionale sono 117mila i cittadini che devono fare i conti con la povertà assoluta, in crescita tra i giovani adulti

[5 Dicembre 2019]

La povertà assoluta continua ad essere una ferita dolorosa per la Toscana, nonostante una performance “migliore” rispetto a quella nazionale. Dopo essere raddoppiata nell’arco di neanche dieci anni – da 66mila persone coinvolte nel 2008 alle 142mila del 2016 –, oggi i poveri assoluti sono in leggero calo: il terzo Rapporto sulle povertà in Toscana presentato oggi dalla Regione mostra che sono 117mila i cittadini che nel 2017 lottano contro la povertà assoluta, sottolineando in particolare una crescita tra i giovani adulti e difficoltà soprattutto nelle grandi aree urbane, sulla costa e agli estremi nord e sud della regione.

«Il Rapporto – commenta l’assessore al Diritto alla salute e al sociale Stefania Saccardi – ci consente di conoscere i reali bisogni delle persone, per meglio programmare gli interventi di contrasto ai processi di impoverimento e di esclusione sociale, per contrastare la povertà, ma anche per individuare i fattori di rischio sul territorio per prevenirla. L’obiettivo è prendersi cura dei soggetti fragili, con un’attenzione particolare alle generazioni future. Il modello di welfare che come Regione abbiamo costruito in questi anni non è limitato all’assistenzialismo, ma si fonda sulla dignità della persona, è una ricerca degli strumenti per l’autonomia, una costruzione di percorsi che portino fuori dalla povertà».

Gli strumenti finora messi in campo contro la povertà non hanno funzionato a dovere: con il “Reddito di cittadinanza” (Rdc) a – ampiamente sottofinanziato rispetto agli annunci iniziali – aumentano la platea e le risorse rispetto al Rei (Reddito di inclusione), ma non cresce di molto la capacità di copertura. Se tutti i potenziali beneficiari facessero effettivamente domanda, il Reddito di cittadinanza potrebbe coinvolgere circa 52mila nuclei familiari e 116mila individui, per un ammontare di 236 milioni di euro (in media 380€ al mese per famiglia, 170€ per componente); se fosse rimasto in vigore il Rei ne avrebbero beneficiato 44mila famiglie e 103mila individui, con un trasferimento medio di 230€ al mese a famiglia e 97€ a persona). Di fatto però le domande presentate per il Rdc in Toscana sono state solo 65mila: di queste ne sono state accolte circa 37mila (di cui il 16% per la “Pensione di cittadinanza”), che coinvolgono 82mila persone. Sia per il Rdc che per il Rei, comunque, i beneficiari riescono difficilmente a uscire dalla condizione di povertà assoluta: su 100 beneficiari, solo 10 per il Rdc e 6 per il Rei.

Un quadro che permane di grande difficoltà dunque, dove il ruolo della Caritas – come testimonia il Dossier sulle povertà nelle diocesi toscane, presentato insieme al rapporto regionale – rimane di ampio supporto. Nel 2018 la Caritas ha infatti incontrato 24.060 persone (53,2% donne, 46,8% uomini), in un contesto dove continua a restringersi la forbice tra italiani e stranieri, e in alcune diocesi già da qualche anno gli italiani sono più numerosi degli stranieri (anche se il 73,7% dei 15.049 immigrati incontrati vive in Italia da almeno cinque anni). Il problema più grande è la mancanza di lavoro: non ce l’ha il 68%, un’incidenza che sale al 75,2% per le donne e al 73% per gli stranieri. Ma anche chi il lavoro ce l’ha deve ricorrere ai servizi della Caritas: il 15% delle persone incontrate svolgono lavori pesanti, precari, pericolosi, poco pagati e socialmente penalizzanti. Cresce inoltre l’area della cosiddetta povertà cronica, dal 30,6% del 2017 al 36,5% del 2018.

«Questi dati ci rivelano una società sempre più diseguale – conclude Roberto Filippini, vescovo incaricato Cet per la Pastorale della carità – dove regnano ancora discriminazioni di genere e di etnia, dove le famiglie presentano fragilità e frammentazioni profonde che pagano come sempre i più deboli, i minori; dove i poveri sono a rischio di cronicizzazione e dove per alcuni un’abitazione dignitosa rimane un desiderio irrealizzabile. I numeri e le tabelle ci rivelano una società marcatamente individualista, chiusa nella difesa degli interessi privati e prevenuta nei confronti dell’altro e del diverso».

Nonostante tutto, dai dati riportati oggi dall’Irpet – l’Istituto di programmazione economica della Regione – emerge anche un dato che in prima battuta appare positivo: la Toscana è l’unica regione, in compagnia del Trentino Alto Adige, dove il tasso di occupazione è oggi (poco) più alto di quanto lo fosse nel 2008, prima della crisi: «Sono 36 mila posti di lavoro in crescita e se considerassimo gli ultimi trimestri potrebbero diventare anche più di 40 mila», spiega il direttore di Irpet Stefano Casini Benvenuti. Ma la crisi ha avuto pesanti effetti in termini di disuguaglianza sulla qualità del lavoro: crescono gli impieghi altamente qualificati e molto pagati, crescono anche i lavori pochissimo pagati ed è in flessione tutto ciò che sta nel mezzo, che poi vuol dire la classe media. I lavoratori in dieci anni sono anche invecchiati (da 42 a 45 anni), il che vuol dire che meno giovani hanno trovato occupazione anche se la disoccupazione giovanile è comunque diminuita. E poi rimane, irrisolto, il problema del disallineamento tra chi offre e chi cerca lavoro: tra gli under 30 il 59% dei laureati svolge un lavoro per cui non è richiesta la laurea e il 37% dei diploma ha un’occupazione per cui il diploma non sarebbe servito.

Inoltre tra i nuovi o vecchi occupati ci sono oggi più part-time del 2008, racconta il direttore di Irpet. E infatti le ore complessivamente lavorate sono diminuite rispetto a dieci anni fa. Ci sono più tempi determinati. Sono cresciuti i posti di lavoro nei servizi: Si sono affermate insomma – sintetizza Casini Benvenuti – forme di lavoro più deboli» e la media delle retribuzioni è scesa. «Mediamente ogni toscano, in dieci anni, ha perso al netto dell’inflazione 250 euro al mese, ed è nata una categoria che prima non c’era: quella dei lavoratori poveri, mentre prima i poveri erano solo quelli che non lavoravano».