Imballaggi monouso per bevande, è arrivato il momento del deposito cauzionale?

Quindici Ong si appellano alle istituzioni, all’industria e alla società civile per accelerare il processo decisionale

[19 Novembre 2021]

La direttiva europea sulla plastica monouso (Sup) impone un tasso di raccolta del 90% per le bottiglie di plastica per bevande entro il 2029 (con un obiettivo di raccolta intermedio del 77% entro il 2025) e un minimo del 25% di plastica riciclata nelle bottiglie in PET dal 2025 (30% dal 2030 in tutte le bottiglie in plastica per bevande).

Questi obiettivi, secondo quindici autorevoli Ong italiane – da Greenpeace a Kyoto club, da Legambiente al Wwf – coordinate dall’Associazione nazionale dei Comuni virtuosi «sono raggiungibili unicamente attraverso l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale», che propongono di estendere non solo alla plastica ma a tutti gli imballaggi monouso per bevande (in plastica, alluminio e vetro).

Tutte frazioni visibilissime dei rifiuti che generiamo ogni giorno coi nostri consumi, anche se si tratta di un segmento largamente minoritario rispetto ai rifiuti totali: la totalità degli imballaggi infatti non supera il 7% dell’ammontare complessivo di rifiuti nazionali, e in questo caso la sottocategoria si restringe agli imballaggi per bevande. Fatte le giuste proporzioni, resta comunque il problema di gestirli nel modo più sostenibile.

Per provare a farlo, nel decreto Semplificazioni del luglio 2021 è stato inserito uno specifico emendamento che apre all’introduzione di un sistema di deposito cauzionale (Drs) anche in Italia; una scelta da non confondersi col vuoto a rendere. È infatti vero che i Drs possono supportare la creazione e lo sviluppo di sistemi di vuoto a rendere volti al riutilizzo degli imballaggi, favorendo una maggiore immissione al consumo di contenitori ricaricabili per bevande, ma nel caso italiano lo scopo del Drs è “semplicemente” quello di   di massimizzare il processo di raccolta selettiva ed il riciclo dei contenitori di bevande monouso in vetro, plastica e in metallo (lattine)

Il ministero della Transizione ecologica in collaborazione con quello dello Sviluppo economico si trovano adesso a dover redigere i decreti attuativi per l’introduzione di tal sistema. «Auspichiamo dunque – dichiarano le Ong – che i ministeri competenti nel definire le caratteristiche di un sistema di deposito nazionale vogliano ispirarsi alle esperienze europee di maggiore successo che vedono sistemi cauzionali di portata nazionale, obbligatori per i produttori di bevande e che coprono tutte le tipologie di bevande nelle diverse dimensioni commercializzate in bottiglie di plastica, vetro e lattine».

Già oggi i sistemi Drs sono attivi in dieci Paesi europei (Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Islanda, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia), massimizzando la raccolta selettiva degli imballaggi per bevande incentivando la partecipazione dei consumatori attraverso il pagamento di una cauzione che viene aggiunta al prezzo di vendita del prodotto – in Europa solitamente tra i 10 ed i 25 centesimi di euro – la quale viene restituita nella sua totalità al momento del conferimento dell’imballaggio vuoto da parte del consumatore. Inoltre i sistemi di deposito sono finanziati dall’industria delle bevande in assolvimento della loro responsabilità estesa del produttore (Epr) e «non necessitano di alcun finanziamento pubblico», sottolineano le Ong.

Resta però difficile ispirarsi solo in parte a modelli di gestione rifiuti realizzati in altri Paesi, soprattutto se dotati di configurazioni molto diverse tra loro non solo per la raccolta rifiuti ma anche per la conseguenze dotazione impiantistica deputata alla loro gestione.

Guardando ad esempio alle frazioni d’imballaggi meno nobili da avviare al riciclo, l’opzione preferita in Scandinavia – dove i Drs sono molto diffusi – è ad oggi quella della termovalorizzazione: in Danimarca il 49% dei rifiuti urbani va a recupero energetico, in Norvegia il 51%, in Svezia il 53%, in Finlandia il 57%. In Germania il 31%, nei Paesi Bassi il 42%. In Italia invece è al 20%: come gestiremmo dunque, nel nostro Paese, i rifiuti da imballaggio che resterebbero fuori dai circuiti Drs continuando a rappresentare un disvalore economico?

È bene ricordare, infatti, che non tutti i rifiuti sono – o possono essere – risorse: lo sono quelli a cui viene attribuito un valore di mercato congruo. Altrimenti sono un disvalore, dal punto di vista economico. Ed è precisamente a quanto accade con molti rifiuti da imballaggio in plastica, che da una parte non possono essere tecnicamente riciclati, mentre al contempo non trovano spazio nei termovalorizzatori presenti sul territorio nazionale (perché inadeguati ad accoglierli, o perché semplicemente insufficienti) e dunque negli anni scorsi hanno preso la via dell’export, anch’essa sempre più complicata; restano le discariche – quando ci sono –, ma qui per portare i rifiuti si paga, non si riscuote. E soprattutto non si fa il miglior servizio all’economia circolare.